riscaldamento globale
Il Natale del 2050 senza il cambiamento climatico
Scende ancora la neve, in questo Natale 2050, e da quando iniziammo a parlare di riscaldamento globale, non era così scontato. Ricordiamo in tanti le feste del 2019, le ultime senza la paura che il mondo finisse: a settembre ancora, si pensava di stare tranquilli. Il Presidente del Consiglio di allora era appena rientrato da New York per l’assemblea dell’Onu, ma non credeva che il monito lanciato al mondo per il ghiacciaio pendente su Courmayeur, il Planpincieux, potesse diventare un grido d’allarme finite le vacanze natalizie.
Abbiamo fermato il riscaldamento globale
C’era ancora l’agnello della nonna, ad attenderci a casa la sera di Natale del 2019. Con l’acqua alle ginocchia, c’era ancora Venezia. Vederla affondare ci ha spaventato così tanto che, passato il Natale, abbiamo iniziato a fare sul serio. Come i polmoni di un fumatore ventennale, il nostro pianeta non si è ancora ripulito del tutto, ma quell’inversione di tendenza avvenuta agli inizi del 2020, ha segnato un passaggio fondamentale, per la salvezza della Terra. Ricordiamo in tanti quando Greta Thunberg, prima di presiedere al Parlamento Europeo come ha fatto negli ultimi due mandati, era solo un’adolescente che scioperava il venerdì.
Chiedeva emissioni zero, chiedeva la conversione dei combustibili fossili in energie rinnovabili. Una sfida che ha politicamente vinto, ma non senza inevitabili sofferenze. Abbiamo conosciuto il significato della siccità, tra l’Africa, l’Asia e l’America centrale, ma abbiamo anche visto interi blocchi di ghiaccio staccarsi dall’Antartide e immergersi nell’Oceano. Venezia è caduta sempre più a picco, ma ancora oggi, con la cupola di San Marco che spunta appena dal mare, conserva tutto il suo mistico fascino.
L’inevitabilità del global warming
Poteva andare peggio, finalmente possiamo dirlo. Dovevamo cominciare alla fine del secolo scorso, ma anche con un trentennale ritardo siamo riusciti a preservare almeno la nostra civiltà. Per una volta, in Italia, siamo riusciti a stare al passo con i tempi. All’alba del 2020, è arrivata la prima stoccata: Venezia prima e il ghiacciaio Planpincieux a Courmayeur dopo, sono state le perdite catastrofiche che ci hanno spinto a fare qualcosa. Abbiamo cominciato dalla Carbon Tax, un modello di tassazione sui combustibili fossili che ci hanno copiato persino gli americani.
Perché mentre Venezia ha messo un piede negli abissi, Louisiana e Mississippi sono state travolte dall’uragano più potente degli ultimi 150 anni. Tutto è accaduto più rapidamente di quanto l’allora giovane Greta potesse immaginare. Dopo Donald Trump, la nuova amministrazione a stelle e strisce vide nel disastro del tornado nel Golfo un’opportunità per riaprire i rapporti con Cina e India: i due colossi asiatici, ormai annegati nello smog delle metropoli, avevano già iniziato a invertire la tendenza del secolo scorso.
L’addio a carne e petrolio
Il climate change era un fenomeno in atto, e tale è rimasto fino ad oggi, anche se ne abbiamo placato gli effetti più distruttivi. Abbiamo ricominciato da cinque anni ad allevare bovini e suini, dopo il No Meat Act promosso dal Parlamento Europeo nel 2022, ma nessuno si azzarda a rimettere la carne in commercio. Ci sono almeno due generazioni che non conoscono il petrolio, anche se vedono ancora la temperatura salire costantemente di 1,5° C. Il mondo porta le sue ferite bene in vista, ma osservarle è per noi un monito. Non abbiamo fatto in tempo a salvare le foreste pluviali di Congo e Kenya, ma con estrema fatica siamo riusciti a preservare l’Amazzonia, oltre a ridare vita a quelle asiatiche, a Sumatra e in Papua Nuova Guinea.
Ravvivare le foreste “secondarie” è stata, insieme alla riduzione di gas serra, la sterzata decisiva per ripulire l’aria del carbon fossile presente. Non sono cambiate le logiche sociali, la lobby dei petrolieri è stata soppiantata da quella della canapa, i ricchissimi rappresentano ancora l’1% di noi (e l’80% del capitale), ma abbiamo capito che il rischio di estinguerci era concreto. Forse non ci vogliamo più bene di prima, ma essere sopravvissuti ci ha dato una seconda occasione per imparare a farlo, soprattutto a Natale.