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L'italia ha sete di medici ma non assume quelli non europei
Se c’è un problema al quale la pandemia di coronavirus ci ha messo di fronte è la carenza dei medici nelle strutture di tutta Italia. Il Governo ha provato a mettere una pezza con il decreto Cura Italia, aprendo i bandi riservati ai medici anche a chi non ha cittadinanza italiana. Ma burocrazia, pigrizia e forse anche qualche pregiudizio hanno reso le cose più difficili del previsto.
Cosa prevede il decreto Cura Italia
La maggior parte delle amministrazioni di ospedali e aziende sanitarie sta escludendo i medici non comunitari che vivono nel nostro Paese, ignorando la disposizione prevista dal decreto Cura Italia. Secondo l’articolo 13 è infatti previsto che possano essere assunti «alle dipendenze della pubblica amministrazione per l’esercizio di professioni sanitarie e per la qualifica di operatore socio-sanitario tutti i cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea, titolari di un permesso di soggiorno che consente di lavorare, fermo ogni altro limite di legge». Si continua dunque a bandire concorsi che, quanto ai medici, richiedono il requisito della «cittadinanza italiana o di paesi dell’Unione Europea» e, per quanto riguarda il restante personale sanitario, come infermieri e oss, i bandi prevedono i requisiti trattati dall’art. 38 Testo Unico del pubblico impiego, escludendo quindi i cittadini extra UE. Questo avviene nella martoriata Lombardia, come nel Lazio, nella Basilicata, nel Molise, in Sicilia e in Calabria, dove il personale medico già scarseggia e si richiamano i medici in pensione. Se si prova a chiedere spiegazioni, le amministrazioni cadono dal pero. E alcuni puntano il dito contro le asl. Per altri i bandi sono stati copia-incollati dagli anni precedenti per pura pigrizia. Un rimbalzo di responsabilità sulla nostra pelle.
La versione di Amsi
«Noi chiediamo da anni di risolvere la questione della carenza dei medici. In cinque anni sono arrivate dalle strutture pubbliche e private più di 13.500 richieste di medici e infermieri», ci dice il professor Foad Aodi, presidente di Amsi, l’associazione medici di origine straniera in Italia. «Vista la carenza, vista la fuga all’estero, vista l’emergenza covid, perché non facciamo lavorare, come abbiamo sempre chiesto, i nostri medici e infermieri senza l’obbligo della cittadinanza?». Ma il problema sembra essere l’interpretazione personale e regionale dell’articolo 13. «C’è chi sostiene che valga solo per i contingenti medici che vengono dall’estero, come nel caso dei cubani e dei russi. Come associazione abbiamo collaborato con tutte le regioni. Al momento l’Umbria ha indetto un bando recependo l’articolo 13, mentre il Piemonte ha ripensato i concorsi, aprendo anche a chi non ha la cittadinanza». Non sarebbe quindi una questione di colore politico, visto che le due Regioni sono guidate dal centro-destra. Rimane però la questione della carenza. «In Italia ci sono 77.500 professionisti della sanità di origine straniera, comunitari ed extracomunitari, di cui il 65% non ha cittadinanza italiana. Tra questi ci sono 22mila medici, 38mila infermieri, 5mila farmacisti, 5mila fisioterapisti che lavorano spesso sottopagati nel privato». I professionisti della sanità provengono in larga parte dai Paesi dell’Est, Sud America, Nord Africa e Siria e vedono bloccata la loro professionalità dal muro della cittadinanza. «Abbiamo bisogno urgente di medici. Facciamo in modo di riservare un trattamento di serie A a tutti quando si parla di doveri ma anche di diritti. La cittadinanza è una barriera burocratica». E insensata, almeno in tempi di pandemia.
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