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I sospetti sulle ONG nascono dall'ignoranza

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In Italia, così come nel resto d’Europa e del mondo, il dibattito sul valore e il lavoro delle organizzazioni non governative ha avuto ultimamente una grande eco, in particolare da quando il loro operato nel Mediterraneo si scontra con gli interessi politici dell’Europa. Le critiche a tal proposito sono ormai divenute vere e proprie accuse. Tendenzialmente, gli europei si dimostrano diffidenti nei confronti delle Ong, mettendone in dubbio lo scopo solidale e benefico. Alcune delle accuse più gravi nei loro confronti sono quelle che ipotizzano un possibile accordo con organizzazioni malavitose e un uso illecito delle donazioni allo scopo di arricchirsi. Questa generale sfiducia nelle ONG si è tradotta, anche a livello internazionale, in un rifiuto a qualsiasi esperienza di volontariato, bollato come ‘farsa buonista’.

La sfiducia nelle ONG è l’esito di una cosciente campagna politica e mediatica volta a screditarne il lavoro

Le ONG sono organizzazioni no profit di carattere privato, indipendenti dai governi e dalle loro politiche, che si occupano di cooperazione e sviluppo, finanziate sia da donazioni che da soldi pubblici. Le Ong operano in campo umanitario, promuovendo la collaborazione, la cooperazione e l’integrazione, principi che sono alla base dei paesi moderni e in via di sviluppo. Quindi, nonostante il loro lavoro sia necessario e spesso lodevole, perché oggi si scontra con molti sospetti? Non esiste infatti alcun dato reale che provi la fondatezza di questa generale diffidenza. Anche l’impatto sulle migrazioni del cosiddetto pull factor, spesso citato da molti detrattori delle ONG, è stato ampiamento ridimensionato, le operazioni di navi come Sea Watch o Aquarius sono infatti iniziate nel Mediterraneo molto dopo il boom di sbarchi del 2015. L’effetto di questi sospetti si sono ripercossi, però, anche sugli altri progetti delle ONG, come il volontariato estero. Alcune iniziative politiche e mediatiche hanno portato, irresponsabilmente, a screditare il lavoro di chi opera nel solidale. Questa nuova e preoccupante strategia comunicativa messa in atto da partiti politici e opinionisti dei media, ha generato un’istintiva chiusura nei confronti della cooperazione. L’ondata populista che ha invaso le politiche di molti governi occidentali sembra puntare all’eliminazione di progetti, iniziative e proposte delle Ong più impegnate nel lavoro di accoglienza sulle coste.

Nel discorso pubblico la sicurezza viene presentata come incompatibile con la solidarietà

Perno di questa dialettica politica e sociale è senza alcun dubbio il tema della sicurezza che riguarda sia l’arrivo di immigrati e rifugiati nei paesi occidentali, che la permanenza di volontari occidentali all’estero, a contatto con le delicate dinamiche dei paesi dove decidono di operare. Basti pensare al caso di Silvia Romano, cooperante rapita in Kenya nel novembre del 2018 di cui purtroppo attualmente non si hanno notizie, colpevolizzata per aver scelto di fare un’esperienza importante, costruttiva, educativa, benefica. Molte personalità di un certo spessore del mondo mediatico si sono espressi denigrando il lavoro della ragazza, accusandola di essersela andata a cercare. Ma allora dove si trova il punto di equilibrio tra la libertà di aiutare gli altri e l’esporsi al pericolo di un lavoro in una zona a rischio? Invece che spenderci in domande oziose, dovremmo concentrarci sulle ragioni sociali e storiche che rendono necessario il lavoro delle ONG e dei volontari. Vedere il progetto di queste organizzazioni nella sua ampia complessità di intervento: individuazione del problema, studio del contesto socio-economico, problem solving sul campo. Nel mondo contemporaneo così profondamente interconnesso, dove ogni realtà influenza le altre senza soluzione di continuità e le ingiustizie perpetrate in un luogo hanno ripercussioni globali, contribuire a conoscere l’operato delle ONG piuttosto che ostacolarlo sembra essere la risposta più saggia e responsabile.

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