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Due milioni di donne italiane sono in povertà mestruale. E nessuno ne parla
In un saggio del 1978, l'attivista femminista e giornalista Gloria Steinem si chiedeva cosa sarebbe accaduto se gli uomini avessero cominciato ad avere le mestruazioni. «La risposta è chiara: le mestruazioni diventerebbero un evento maschile invidiabile, degno di vanto», ci sarebbero «rituali religiosi» legati al ciclo mestruale, ma soprattutto il governo «finanzierebbe un istituto nazionale per aiutare a eliminare i disagi mensili». Disagi che, oltre a essere di natura fisica, sono anche di tipo economico. Tanto che anche in Italia si è cominciato a parlare di period poverty, vale a dire di povertà mestruale, per parlare dell’impossibilità di acquistare dispositivi sanitari, come assorbenti o coppette, ma anche antidolorifici durante il ciclo perché troppo costosi. E così lavorare o andare a scuola con le mestruazioni può diventare un problema. Perfino nel nostro Paese.
Povertà mestruale all’italiana
Sara ha 21 anni e, nonostante viva ancora con il padre, le capita spesso di dover usare la carta igienica al posto degli assorbenti. «Non me li posso permettere. Certo, ci sono gli assorbenti a 2,50 euro, ma sono scomodi e si spostano», spiega a VD. Michele, invece, è una persona trans non binary. Spesso, ha raccontato a VD, si è visto costretto a rimanere a casa quando aveva le mestruazioni, perché il costo degli assorbenti era troppo alto per le sue possibilità economiche. Poi, con il tempo ha cominciato a usare qualche trucchetto. «Quando arrivava il ciclo mi mettevo i pantaloni scuri o i leggings: mi serviva qualcosa di comodo e facile da lavare», dice. «Usavo pantaloni in pile o viscosa, perché il sangue viene via più facilmente che dai tessuti di cotone». Per Michele la situazione si è complicata con l’arrivo del primo figlio. «Dovevo vestirlo bene, dargli da mangiare. Per un paio di anni sono andato avanti con i risparmi che avevo. Anche se quando allattavo avevo mestruazioni leggere, spendere 5 euro al mese per gli assorbenti di cotone per me era impossibile. Erano soldi che facevano effettivamente la differenza».
Sara, invece, ci racconta che a causa della period poverty ha dovuto spesso rinunciare ad andare al mare. «I tamponi interni non me li potevo proprio permettere, tanto che d’estate è capitato che non andassi in spiaggia durante il ciclo». La coppetta mestruale, purtroppo, non faceva per lei, ma per Michele è stato il fattore che lo ha aiutato a uscire dalla povertà mestruale. «Ci sono stati mesi in cui mangiavo erbe spontanee perché non avevo soldi. Per questo ho deciso di lasciar perdere gli altri prodotti igienici e ho cominciato a usare la coppetta», spiega. «Gli assorbenti? Ci vorrebbe comunque un prezzo simbolico». E di tampon tax e riduzione dell’IVA sui prodotti igienico-sanitari si è tornati a parlare proprio in queste settimane, dopo l’annuncio del governo Draghi di un taglio dell’imposta sul valore aggiunto dal 22% al 10%: ancora troppo poco per incidere sull’uguaglianza sociale e di genere.
Le mestruazioni: tra attivismo e povertà
In Italia la period poverty non esiste per le istituzioni. Anche l’Istat la ignora, tanto che non ci sono indagini statistiche che offrano il polso della situazione, mentre si sente parlare spesso di povertà mestruale in relazione a Paesi lontani come l’India o il Kenya, quasi si trattasse di un fenomeno esotico. Quello che è certo è che, almeno al momento, i prodotti igienici femminili nel nostro Paese sono ancora lontani dall’essere considerati come beni di prima necessità. Un problema di non poco conto se si considera che nel 2020 le donne indigenti in Italia erano circa 2 milioni e 227 mila e che il costo mensile degli assorbenti può aggirarsi intorno ai 15 euro al mese. Una platea che molto probabilmente conosce bene che cosa sia la period poverty.
Ma alcune associazioni italiane stanno cominciando a fare attivismo mestruale. È il caso di Onde Rosa, che già nel 2018 aveva lanciato una petizione per chiedere l’abolizione della tampon tax, raccogliendo 640 mila firme, o delle farmacie sparse per la Penisola che aderiscono all’iniziativa “Un assorbente sospeso”. Insomma, mentre il mondo dell’attivismo si muove per abbattere la period poverty, la politica sfrutta la povertà mestruale per mostrare il suo volto umano. Facendo, però, passare per gentile concessione ciò che è un diritto.
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