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Perché l'Italia ha un problema con l'arte
Il 18 settembre dello scorso anno, l’ex-Ministro dei Beni Culturali, Alberto Bonisoli, nell’ambito di una riunione tenutasi a Genova con tutti i soprintendenti italiani, ha fatto parlare di sé per un’infelice dichiarazione in cui sosteneva che, fosse stato per lui, avrebbe abolito la storia dell’arte, dato che al liceo, (di nuovo, per lui, è bene ripeterlo) «studiarla era una pena». La circostanza che l’ex-titolare del dicastero preposto alla tutela della cultura, dello spettacolo e alla conservazione del patrimonio artistico e culturale e del paesaggio consideri prescindibile l’insegnamento della storia dell’arte è alquanto grottesca: sembra quasi un ossimoro, una contraddizione in termini.
La scuola italiana penalizza la storia dell’arte
Il 19 aprile dello stesso anno, con una nota, il Miur pubblicò le bozze degli orari del primo biennio degli Istituti professionali: con enorme sorpresa, l’insegnamento della storia dell’arte non era previsto, neppure per gli indirizzi come Industria e Artigianato per il made in Italy o Servizi culturali per lo spettacolo, per i quali invece sarebbe più che opportuna. Anche in questo caso, siamo di fronte a un altro assurdo: verrebbe da chiedersi in che cosa abbiamo sbagliato, che cosa sta succedendo nel paese in cui i beni culturali, sin dalla notte dei tempi, rappresentano il fiore all’occhiello dell’economia interna?
Iniziò tutto con il Ministro Tremonti
In realtà, se volgiamo lo sguardo a quanto accaduto nel recente passato, abbiamo davvero poco da stupirci. La paternità di questo “manifesto anti-umanistico” è da attribuire all’ex Ministro Giulio Tremonti, creatore del sempreverde slogan “Con la cultura non si mangia”, utilizzato come labile ratio per giustificare i decisi tagli alla cultura che caratterizzarono il suo mandato. Rimane da chiedersi se sia vero. Partiamo da una semplice rilevazione: l'Italia possiede 53 siti Unesco, 4158 musei, 282 parchi archeologici e 536 monumenti; il turismo culturale è una vera e propria miniera d’oro per il nostro Paese: secondo i dati presentati da Ciset a tourismA di Firenze, si tratta di un tesoretto da 21 miliardi di euro di introiti, l'anno scorso pari al 66% della spesa totale. Con un celere sguardo d’insieme, abbiamo così sconfessato un primo dato: con la cultura si mangia, e pure troppo.
La retorica anti-umanistica
Negli ultimi tempi, almeno per quel che riguarda il nostro Paese, abbiamo assistito passivamente alla diffusione di una retorica insopportabile, intrisa del classismo più becero, che vorrebbe relegare la letteratura, la musica, l’arte figurativa, il cinema e la poesia al rango di saperi inferiori. Quando uno studente opta per un percorso di carattere artistico o dai contenuti prevalentemente umanistici, le ansie lo assalgono, i sensi di colpa gli tolgono il sonno, i dubbi lo logorano. I genitori, anche se in buonafede, tentano di sviarlo, di impedirgli di intraprendere quel percorso fatto solamente di precariato e crisi di panico.
Il turismo culturale genera introiti per 21 miliardi di euro
Intraprendere un percorso di studi umanistici, diplomarsi al conservatorio o iscriversi all’Accademia delle Belle Arti sono considerate attività da perdigiorno, passatempi da figli di papà, velleità da fricchettoni che finiranno, giocoforza, a infarcire panini in qualche bettola fatiscente, con le mani oleose e la paga da fame. Gli studenti del Dams, gli artisti di strada, i giornalisti e gli scrittori sono gli hippies del terzo millennio, dei fenomeni da baraccone presi costantemente di mira da chi ritiene che la produttività, e soltanto la produttività, sia il fine ultimo degli uomini. Non è un caso se, quando si tratta di amministrare siti di prestigio, siamo costretti a volgere lo sguardo altrove. Mentre perdevamo tempo a svilire lo studio la storia dell’arte, un tedesco classe 1968, Eike Schmidt, investiva tempo e risorse proprio nello studio dell’arte moderna e medievale, laureandosi con lode all’Università Ruprecht Karl di Heidelberg. Oggi, con merito, è il direttore della Galleria degli Uffizi di Firenze.
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