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Hollywood di Netflix: quando dovevamo nasconderci
Eri italiano, afroamericano od omosessuale? Nell’America del secolo scorso dovevi nascondere le tue origini, cambiare nome, farti da parte, darti ai rapporti clandestini finendo per essere ricattato e vivere nella menzogna. Questo è il mondo ipocrita e perbenista che ci racconta Hollywood, serie tv Netflix ambientata nella Los Angeles del dopoguerra, quella dei divi e dei kolossal ma soprattutto delle maschere, antiche e pesanti come catene. E lo fa con disarmante leggerezza.
Le vite nell'ombra di Hollywood
Jack Castello, interpretato da David Corenswet, è un italoamericano che vorrebbe diventare un attore. È un reduce di guerra sposato giovanissimo e con una moglie incinta. Per lui la strada è in salita: non ha agganci, non ha studiato recitazione, ha un cognome "troppo italiano". Deve prostituirsi per guadagnare, in una stazione di servizio che è praticamente un bordello di alto borgo ma così patinato da sembrare un musical, così sorridente che lo spettatore non ne vede il disagio e lo sfruttamento.
"Castello...mmmm...meglio Castle" è la prima cosa che un agente dice a Jack, costretto ad americanizzare le sue origini, a nascondere i suoi precedenti, a chiedere un prestito con l'uniforme da soldato per poter apparire più credibile, invano. Eppure, Jack è il più fortunato dei personaggi della serie Netflix Hollywood, la sua strada è aspra ma non quanto quelle di Camille, Archie e Roy (che la storia ricorda come Rock Hudson).
Vivere un passo indietro
Vi ricordate la polemica sullo "stare un passo indietro" di Amadeus a Sanremo? Quella frase potrebbe riassumere la vita del personaggio interpretato da Laura Harrier, Camille, attrice afroamericana di talento costretta a una serie infinita di ruoli da cameriera, che vorrebbe diventare protagonista ma che finisce sempre per essere scartata. Perché se sei nera non puoi essere il personaggio principale nel cinema degli anni '50, oppure il film diventa troppo "politico", troppo "divisivo" e viene boicottato.
Non è diverso il destino di Anna May Wong, attrice realmente esistita, interpretata da Michelle Krusiec, che perde il ruolo della vita e l’Oscar perché gli studios non possono usare una donna di origini asiatiche per interpretare una protagonista asiatica (sì, avete letto bene). La sua è una vita spezzata, sprofondata nell’alcolismo e nella frustrazione.
Vivere l'amore in clandestinità
Archie è uno sceneggiatore di talento ma è afroamericano. Il copione che ha scritto viene comprato dagli Ace Studios che però tolgono il suo nome dagli autori: Archie dovrà lasciar firmare un altro scrittore, bianco, la sua bellissima opera prima. Non solo: Archie è omosessuale, costretto anche lui a prostituirsi per vivere, nella stessa stazione di servizio di Jack, tra sorrisi patinati e divise splendenti da musical. Roy, il suo compagno, fa l'attore ed ha appena trovato un agente, lo storico Henry Wilson, interpretato da un inquietante Bill Parsons, che gli cambia il nome “troppo da campagnolo del Midwest” in Rock Hudson.
Entrambi personaggi reali di quella Hollywood dorata, entrambi vissero nell’ombra la loro omosessualità: il sex symbol Rock Hudson fu costretto a un matrimonio fasullo con la segretaria del suo agente, mentre Henry Wilson morì abbandonato da tutti dopo essere stato scoperto. Una clandestinità comune anche al gotha di Hollywood che vive il proprio orientamento sessuale liberamente solo dietro porte ben chiuse oppure lo rinnega, come Dick Samuels, potente produttore cinematografico, che scoppia a piangere tra le braccia di un giovanissimo Rock Hudson implorandolo: «Non diventare come me». Purtroppo, nella realtà, Rock Hudson ripercorse gli stessi passi di Samuels, facendo coming out solo nel 1984, un anno prima della sua morte.
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