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Haftar, il vicino dell'Italia che piace alla Francia

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Quando nel febbraio del 2014 il semisconosciuto generale Khalifa Haftar si presentò alle telecamere per dichiarare l’inizio di una “road map per salvare la Libia”, ben pochi lo presero sul serio, in particolare il premier Ali Zeidan che definì quella dichiarazione una “farsa” e il suo paese “stabile”. Oggi Ali Zeidan, dopo due rapimenti e le dimissioni forzate, è fuggito dalla Libia, mentre Haftar e le sue truppe assediano la capitale Tripoli. La “farsa” è divenuta tragedia: il premier Al Sarraj appare sempre più isolato e la guerra civile ha lasciato sul campo oltre 200 morti e prodotto 30,000 sfollati. La road map annunciata cinque anni fa sta per giungere al suo sanguinoso e, sembra, inevitabile epilogo. La carriera di Khalifa Haftar è iniziata nell’esercito di Gheddafi dove ha militato fino al 1987, quando, durante la guerra col Ciad, fu catturato dai nemici e abbandonato dal suo leader. La CIA lo aiutò, allora, a creare un movimento di resistenza a Gheddafi e infine a trasferirsi in USA dove ha vissuto fino al 2011, anno in cui è ritornato in Libia per abbattere il dittatore e prendere il controllo della parte orientale della nazione. Ormai allontanatosi dai servizi statunitensi, Haftar ha trovato il sostegno fondamentale di Egitto, Russia, Arabia Saudita, Emirati Arabi (impegnati in uno scontro col Qatar proprio su suolo libico) e, in Europa, del governo francese.

Da Sarkozy a Hollande e Macron, la Francia è sempre più coinvolta nella nascita di una nuova Libia

In questi mesi, infatti, Francia e Italia si sono trovate su posizioni opposte riguardo al destino della regione: Macron ha cercato una composizione dello scontro tra il governo riconosciuto dall’ONU a occidente e quello di Haftar in oriente, spingendo per nuove elezioni e avvicinandosi sempre più al Generale della Cirenaica. Il Governo italiano, al contrario, se lo è inimicato, prima finanziando, attraverso il decreto Minniti, le milizie sue avversarie perché contenessero i flussi migratori, poi con le infelici dichiarazioni del Ministro Salvini sugli hotspot nel deserto libico. Il premier Conte, vedendo sempre più indebolita la posizione dell'Italia in Libia, ha cercato nel luglio scorso il supporto di Trump che, dopo aver accettato di appoggiarci, ha però voltato le spalle all’Italia entrando in contatto diretto con Haftar. Oggi il capo di Tobruk, forte del sostegno di nazioni chiave e di molti gruppi libici a Bengasi e nel Fezzan, stringe d’assedio la capitale, intenzionato, sembra, a una resa dei conti con i suoi avversari prima di elezioni che possano, infine, legittimarlo quale leader nazionale, come ha giustamente sottolineato Anas El Gomati del Sadeq Institute. Ma quali sono le ragioni del suo successo e, di contro, del fallimento, a Tripoli, di un Governo sostenuto da buona parte della comunità internazionale?

Macron e la Francia si sono avvicinati sempre più ad Haftar
Macron e la Francia si sono avvicinati sempre più ad Haftar

Ogni volta che l’occidente interviene in Medio Oriente o nel Nordafrica lo fa in base a un assunto errato: trovarsi davanti a realtà simili, nella loro struttura, ai moderni stati europei. Un fraintendimento politico che ci ha condotto ai disastri dell’Iraq e dell’Afghanistan e che spesso le élite locali hanno sfruttato per ricevere aiuti e fondi dai paesi più ricchi. Ma la situazione mediorientale e nordafricana è ben diversa dalla nostra. Mentre Europa e America, attraverso la secolarizzazione e lo sviluppo dell’identità nazionale, hanno assimilato i diversi gruppi locali in una superiore comunità-stato (Nazione, Federazione etc.), nei paesi del Medio Oriente la popolazione è ancora legata al proprio gruppo sociale: clan, tribù, confessione religiosa, proprio perché sono queste realtà, e non lo Stato, a garantire benessere e protezione ai propri membri.

Haftar sfrutta le dinamiche tribali per controllare un territorio sempre più vasto

Non aver considerato la dimensione eminentemente locale e tribale della Libia ha portato al parziale fallimento dell’ONU nella creazione di uno stato democratico e pluralista a Tripoli. La composita realtà libica stenta da sempre a coagularsi se non in vista di un nemico comune: Gheddafi riuscì a mantenere un controllo ferreo sulla Libia proprio grazie alla sua lotta contro l’imperialismo americano e, quando abbandonò questa politica, la sua leadership semplicemente implose. La narrativa di Haftar ha successo perché preme questi stessi tasti. Promettendo di trasformare gli avversari dei numerosi gruppi locali in nemici dello Stato, il generale ha mutuato la logica ‘tribale’ e convinto tante realtà libiche a unirsi sotto il suo stendardo, ma questa forza propulsiva può facilmente diventare esplosiva e disgregante. Come sottolineato da Salah El Bakkoush dell’High Council of States a Tripoli, l’esercito di Haftar è composto da milizie tribali, mercenari del Darfur e Salafiti, tenuti assieme dall’obiettivo di creare in Libia un regime simile a quello di Al Sisi in Egitto. Haftar è stato molto abile nel controllarli, ma cosa succederà una volta che la guerra sarà finita e i nemici sconfitti? Chi sarà il prossimo avversario da abbattere per tenere unita la nazione?

In Libia sta emergendo un nuovo potere e l'Italia, sua vicina, resta una semplice spettatrice

Ahmed Al-Mesmari, portavoce dell’esercito di Tripoli, ha annunciato una grande offensiva per riprendere l’aeroporto internazionale e spezzare l’assedio di Haftar, mentre Maitig, uomo forte di Al Sarraj, e Al Thani, ministro degli esteri del Qatar, sono in viaggio per incontrare il premier italiano a Roma. La situazione bellica è in bilico: da una parte il Governo appare debole e privo di un reale supporto delle Nazioni Unite, a loro volta paralizzate dal blocco Russo-Francese, dall’altra la realtà composita dell’esercito di Haftar e l’assottigliamento delle sue lunghe linee di rifornimento necessitano di una rapida conclusione del conflitto. Nel frattempo, mentre gli altri paesi discutono della guerra, in Italia si parla delle sue conseguenze, come se i giochi fossero ormai stati fatti altrove e noi esclusi, a riprova della totale inconsistenza dell’azione di governo anche quando si decide chi sarà il nostro prossimo vicino di casa.

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