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Gli italiani senza giustizia come Giulio Regeni

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È il 25 gennaio del 2016 e un ricercatore ventottenne, Giulio Regeni, sta raggiungendo la stazione Al Buhuth della metropolitana del Cairo. Non si trova in Egitto per caso, ma per motivi accademici: è un dottorando dell’Università di Cambridge e, da qualche tempo, sta lavorando a una tesi complessa sui sindacati presenti nel paese.

Chi era Giulio Regeni

La sua quiete viene interrotta dal sopraggiungere di un convoglio di poliziotti in divisa nera: gli uomini di al-Sisi sospettano che Giulio sia una spia, principalmente in ragione di alcuni contatti “scomodi” presenti nella rubrica del suo smartphone, appartenenti a personaggi legati all'opposizione anti-governativa. Nove giorni dopo, il 3 febbraio, il corpo esanime di Giulio viene ritrovato in una strada all’estrema periferia del Cairo.

Paola, madre di Giulio regeni
Paola, madre di Giulio regeni

Le copiose mutilazioni presenti su quella carcassa vigliaccamente abbandonata nel nulla valgono più di mille parole: Giulio è stato torturato. E, finora, è tutto ciò sappiamo: la famosa “Verità per Giulio Regeni” per cui combatte Paola, sua madre, è ancora ben lungi dall’essere svelata. Alessandro Borghi, già protagonista di Sulla mia pelle, ha dichiarato di voler interpretare il giovane ricercatore al cinema. Ma Giulio, che oggi avrebbe compiuto 32 anni, non è l’unico italiano ucciso all’estero a non aver avuto (ancora) giustizia.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia

Il 20 marzo del 1994 Ilaria Alpi, giovane giornalista romana, e il suo cineoperatore triestino Miran Hrovatin vengono uccisi con una raffica di kalashnikov a due passi dalla sede dell’ambasciata italiana a Mogadiscio, in Somalia. Ilaria e Miran si trovano lì per seguire la missione di pace Restore Hope, in cui era coinvolta anche l’Italia, per conto del TG3: di lì a poco, gli Stati Uniti avrebbero annunciato il ritiro dei propri soldati dal Paese.

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono uccisi nel 1994
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono uccisi nel 1994

Al di là degli impegni professionali con la Rai, parallelamente, i due stavano portano avanti un filone di inchiesta particolarmente scottante: da qualche tempo, indagano la pista di un presunto traffico internazionale di armi e di rifiuti tossici, in cui sarebbero coinvolte anche alcune società italiane. A oggi non ci è concesso conoscere ciò che scoprirono, e malgrado la condanna di Hashi Omar Hassan, indicato come comandante del commando, l’identità dei mandanti del loro omicidio continua a celarsi nel buio.

Gabriele Moreno Locatelli a Sarajevo

È il 3 ottobre del 1993, l’Armata popolare di Milošević e i serbo bosniaci assediano Sarajevo da oltre un anno e la Jugoslavia di Tito è ormai un confuso mosaico di macerie in cui sfilano etnie a mano armata sempre pronte a premere il grilletto. All’interno di questo serbatoio stracolmo di odio razziale, morti ammazzati e pagine di cronaca nera un attivista italiano, Gabriele Moreno Locatelli, sta attraversando il famigerato ponte Vrbanja, con in sottofondo il solo rumore dei proiettili. Il Vrbanja è anche conosciuto come il “ponte della morte”: è la prima linea del fronte, al centro di Sarajevo, tra i governativi di Aljia Izetbegovic e le forze serbo-bosniache di Radovan Karadžic. Insomma: nell’attraversarlo, la probabilità di svestire i panni del passante per indossare quelli del bersaglio mobile sono altissimi.

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L'omaggio dei cittadini di Sarajevo a Moreno Locatelli

Moreno, però, ha un buon motivo per portare a termine la traversata: vuole deporre una corona di fiori sul luogo in cui una giovane studentessa musulmana, Suada Dilberović, è stata uccisa il 5 aprile dell’anno prima, guadagnandosi l’amaro titolo di prima vittima del conflitto più sanguinario che l’Europa avesse conosciuto dalla fine della Seconda guerra mondiale. Mentre sta per raggiungere assieme ad altri fedeli il punto in cui celebrare quella commemorazione simbolica, Moreno viene impallinato da una scarica di mitra. Membro dell’associazione pacifista Beati i costruttori di pace, Locatelli si era recato a Sarajevo per manifestare in favore di una soluzione pacifica che potesse porre fine a quella guerra. Il ricordo di Giulio, Ilaria, Miran e Moreno è qualcosa da custodire gelosamente e costituisce un importante messaggio sul valore supremo della verità. A ogni costo.

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