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«Bisogna rifare le analisi». Il momento in cui ti dicono che hai l’HIV
Era il 1988 e pochi parlavano apertamente di AIDS quando la Giornata mondiale fu istituita. Oggi, quarant’anni dopo, questa malattia che riguarda 38 milioni di persone, è passata in secondo piano dopo l’arrivo del coronavirus. «Mentre l’attenzione del mondo è rivolta al Covid 19» ha scritto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres «la Giornata mondiale contro l’Aids ci ricorda che non dobbiamo distoglierci da un'altra pandemia che è ancora tra di noi, quarant’anni dopo la sua apparizione». Ne abbiamo parlato con qualcuno che con questa malattia deve combattere ogni giorno.
La testimonianza di Davide
Davide ha 27 anni e ha scoperto di essere sieropositivo a giugno di quest’anno da semplici esami di routine che avrebbero dovuto tranquillizzarlo sul corso della sua vita. Ma il giorno stesso riceve una chiamata. «C’è un problema con le provette, bisogna rifare le analisi», gli dicono. Senza pensarci troppo, Davide torna in ospedale. «Mi ricordo di essere entrato nell’ufficio della dottoressa. “Abbiamo trovato l’HIV nel suo sangue”, mi spiega. In quel momento, il mio cervello si è bloccato insieme al mio cuore». La dottoressa gli spiega dei globuli bianchi, rossi, delle difese immunitarie, delle cariche positive, ma lui non esiste più. «Ero sabbia al sole, che scivolava lentamente dalla sedia della scrivania della dottoressa, cancellandomi come persona. Ogni granello era composto dalla mia vita vita che cadeva sul pavimento e si perdeva nel silenzio freddo». Con Davide c’erano due amici che lo avevano accompagnato che lo aspettavano all’esterno dell’ospedale. «Quando uscii, mi guardarono in faccia, non dissero niente, avevano capito tutto. Fu straziante». Davide aveva appena cambiato vita. «Avevo appena lasciato il lavoro perché volevo cambiare vita e stavo traslocando». Ma da quel momento non c’è stato più tempo per i traslochi, per i sogni, per le speranze. «Rifeci le analisi. Quando ti trovano la positività, non è sicuro al 100% ma devono fare un ulteriore controllo del sangue, con una quantità molto più massiccia. All’inizio si parla del 90% di possibilità, poi devi aspettare tre giorni per il risultato finale. Ricordo che in quei tre giorni mi è passata la vita davanti agli occhi, ho pianto, mi sono straziato, pensavo a mio fratello, che ha 20 anni, pensavo a come avrei dovuto affrontare tutto ciò, come avrei potuto parlarne alla mia famiglia. Nessuno è pronto per una notizia del genere, non esistono prassi o modi di affrontarla. Pensavo: avrò mai una persona accanto da amare? Sarò mai amato da qualcuno?». Pensa anche ai suoi genitori, figli dei loro tempi, con il peso degli anni sulla schiena. Dopo tre giorni la conferma. «Ero morto. Ti rendi conto di quanto sono discriminate le persone sieropositive e di quanto le hai discriminate tu in passato anche solo con una battuta. Ricordo che all’inizio i miei amici per farmi stare meglio mi dicevano che è come avere il diabete. Purtroppo no, perché lo diresti di avere il diabete, ma non diresti a nessuno di avere l’HIV». La parte più difficile è venuta dopo «Ho dovuto fare i conti con me stesso e con gli altri sensi di colpa mi affliggono ogni momento. L’ho detto solo a quattro persone per adesso, nessuno lo sa. Non perché me ne vergogni, certo ne ho paura, ma perché ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire ricevere una notizia del genere. Perché ho visto con i miei occhi cambiare le persone che l’hanno saputo: la mia storia può capitare a chiunque».
I numeri dell’HIV nel mondo
Tra il 2000 e il 2019, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, le nuove infezioni da HIV sono diminuite del 39% e i decessi del 51%. Le terapie di antiretrovirali sviluppate in questo secolo avrebbero salvato, sempre secondo l’OMS, più di 15 milioni di vite. Ma parliamo sempre di un’epidemia globale. Sono circa 38 milioni i malati di AIDS nel mondo, ogni anno circa 1,7 milioni di persone vengono contagiate e 690mila uccise da questa malattia. In Italia, nel 2019, erano 2.531 le nuove diagnosi di infezione da HIV, 4,2 nuovi casi ogni 100mila abitanti. L’ONU è intervenuta oggi per ricordarci che «Il Covid-19 ha rappresentato un campanello d’allarme per il mondo. Le disuguaglianze nella sanità toccano noi tutti. Nessuno è al sicuro a meno che non lo siamo tutti». La lotta all’Aids può insegnare molto anche alla battaglia che stiamo affrontando contro il coronavirus. «Noi sappiamo che per mettere fine all’Aids e sconfiggere l’attuale pandemia dobbiamo eliminare stigma e discriminazione, mettere le persone al centro e fondare saldamente le nostre risposte sui diritti umani e su approcci basati sull’uguaglianza di genere». Centrale l’accesso ai trattamenti sanitari, indipendentemente dal dal benessere delle persone. Dei 38 milioni di malati di HIV, infatti, solo 23 milioni hanno accesso alle cure. «Abbiamo bisogno che tutti, dovunque, possano permettersi vaccini anti Covid-19 e terapie sull’Hiv. La salute è un diritto umano e deve pertanto rappresentare un investimento prioritario per conseguire la copertura sanitaria universale».
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