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«I docenti dovrebbero chiudere i profili social». Il codice deontologico che fa discutere

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Limitare l’utilizzo dei social, evitare chat con studenti e genitori, mantenere profili personali chiusi e decorosi, evitando foto o commenti discutibili. Sono solo alcuni tra i suggerimenti ai docenti contenuti nel codice deontologico che la sezione Lazio dell’Associazione Nazionale Presidi è pronta a emanare, e che sta già facendo discutere. Per la Presidente dell’Anp Lazio Cristina Costarelli «si tratta di consigli ai docenti, perché lo strumento social può sfuggirci di mano». Per la professoressa Valentina Grion, docente di Pedagogia Sperimentale dell’Università di Padova, invece, il codice deontologico «è retrogrado e inadeguato».

Quali sono i punti della proposta

«Abbiamo unito il dibattito su un codice deontologico etico del personale docente a una riflessione sulla comunicazione», spiega a VD Costarelli, presidente dell’Anp Lazio. «Si tratta di raccomandazioni: siamo un’associazione, non possiamo definirli regolamenti e non abbiamo poteri sanzionatori». Questi i punti significativi del nuovo codice rivolto ai docenti.


  • Non avere comunicazioni whatsapp tra docenti e genitori. «Bisogna comunicare tramite Registro elettronico o mail, al limite con un contatto del rappresentante di classe», sottolinea Costarelli;
  • Evitare che il docente finisca in un gruppo WhatsApp di cui fanno parte i genitori;
  • I docenti dovrebbero avere un profilo chiuso e verificare le richieste d’amicizia, evitando quelle di studenti e genitori;
  • Avere sui social un atteggiamento adeguato alla professione.

«Una foto in costume da bagno ci sta anche, per carità», specifica Costarelli. «Noi la sconsigliamo. Il problema non è la singola foto, e non crediamo che sul profilo privato si debba per forza essere professionali, per quello si consiglia di tenerlo chiuso». Secondo la Presidente Anp Lazio «l’immagine che si veicola su un profilo privato è relativa a una dimensione personale, completamente diversa rispetto a quella professionale. Per questo consigliamo di avere in tutto ciò che si pubblica una presentazione adeguata alla professione. Ma non diamo consigli così espliciti. L’importante è che si resti nei limiti del buon senso. Dobbiamo prestarci attenzione perché lo strumento ci sta sfuggendo di mano».

Chi è contrario e perché, secondo un esperto

Contraria alla proposta è la professoressa Valentina Grion, docente di Pedagogia Sperimentale all’Università di Padova, autrice, tra gli altri titoli, de L’identità professionale dell’insegnante in servizio (Guerini). «Se tutti noi usiamo normalmente i social nella vita quotidiana, come strumento di informazione e comunicazione, per quale motivo la scuola non dovrebbe utilizzarli come tali? Vogliamo una scuola che sia estranea alle modalità con le quali procede la società esterna? Vogliamo una scuola che sia una torre d’avorio?», si chiede, intervistata da VD, la professoressa Grion.

Secondo Grion «l’uso corretto dei social network è una competenza ormai indispensabile per la nostra società. Questi aspetti vanno considerati e utilizzati a fini formativi, non demonizzati. Confinarli può essere un errore grossolano perché può significare abbandonare il progetto di una alfabetizzazione digitale, che oggi è richiesta. Un codice deontologico che non tiene conto delle nuove modalità di comunicazione, apprendimento e informazione è retrogrado e inadeguato». Grion trova invece corretto il suggerimento che riguarda la demarcazione tra profili personali e vita professionale. «È sempre difficile mettere un limite tra virtuale e reale, sono dimensioni ormai intrecciate. Sono d’accordo, però: il profilo pubblico di un docente sui social network deve essere adeguato alla situazione professionale. Poi se uno vuole mettere foto mezzo nudo può fare un profilo chiuso e aprirlo agli amici. Ci sono ancora gli strumenti per mantenere privati alcuni spazi», aggiunge.

I docenti: le loro esperienze

Limitare i contatti con i genitori e le famigerate chat mamme/insegnanti potrebbe essere controproducente, secondo Grion: «Ritengo che questa regola non riguardi la deontologia ma può andare a discapito della libertà. Se voglio avere un gruppo whatsapp genitori-alunni devo poterlo fare. Ogni docente dovrà decidere secondo la propria scienza e coscienza se utilizzare questi metodi per comunicare». È il caso di Alessandra, insegnante di sostegno a Roma, che utilizza spesso whatsapp per comunicare con i suoi alunni e i genitori. «È vero però che alcuni genitori ti chiamano in qualsiasi momento, anche alle 10 di sera per dirti che il figlio non va a scuola», racconta. Una comunicazione costante che rende difficile separare lavoro e vita privata.

È successo anche a Filomena, che insegna a Napoli: «Durante il lockdown è stata dura, i genitori chiamavano a tutte le ore, anche sabato o domenica». Alessandra racconta poi il caso di una sua collega, insegnante di inglese: «Era tempestata di domande da una mamma-stalker, a qualunque ora. A un certo punto le ha dovuto chiedere di smetterla». Messaggi che incidono sulla vita privata dei docenti: «L’anno scorso avevo questa alunna che faceva i compiti di sera: la mamma mandava messaggi fiume chiedendomi di spiegare gli esercizi alla figlia. A volte, nel mio caso, si sente il peso della responsabilità e si sta fino a tardi. Mio marito si arrabbiava, “manco fossi un medico”, diceva», racconta Alessandra.

Docenti, genitori e social. Cosa ne pensano i lettori di VD

VD ha interpellato i propri lettori sulla questione: tra chi ha risposto al sondaggio uno su due sostiene di aver avuto chat private con i propri professori, e la stessa percentuale guarda i profili social dei docenti. Il codice deontologico trova d’accordo molti giovani studenti: «Finalmente», scrivono. «Meglio comunicare attraverso i canali ufficiali»; «Un mio professore nel 2020 mandava messaggi anche a mezzanotte» e «Altrimenti non si stacca neanche durante le vacanze» sono alcune tra le risposte arrivate.

La manifestazione di insegnanti e studenti per la scuola

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