vacanze
Dobbiamo raccontarci anche la favola della staycation?
Staycation, ovvero come trasformare una sconfitta in una vittoria. Perché dover passare le vacanze entro i confini della propria città o al massimo all’interno di quelli nazionali significa costruirsi una nuova rassicurante normalità, fatta di mascherine con stampe alla moda, guanti e igienizzanti. Una nuova normalità che è l’ennesima favola che ci raccontiamo. E così, incapaci di capire il presente, lasciamo che la crisi innescata dal coronavirus venga sepolta sotto una patina di finta euforia.
Vacanze staycation tra minaccia e contraddizioni
Su Twitter è un fiorire di hashtag che inneggiano alla staycation, allo starsene in casa o all’interno del proprio Paese durante le vacanze. C’è perfino un sito dedicato, staycation.co, con tanto di offerte last minute. Erede legittima dell’ “andrà tutto bene”, l’inno al turismo di vicinato appare come l’ennesimo tormentone dal nome sofisticato che accompagnerà la nostra estate, insieme a qualche canzone dai ritmi sudamericani. Guai a sognare mete lontane: il localismo radicale ha vinto, per la gioia dei campanilisti. Eppure la buzzword “staycation”, data dall’incrocio tra il verbo “stare” (“stay”) e “vacanza” (“vacation”), inventata all’inizio degli anni Duemila in concomitanza con la crisi economica, si staglia minacciosa e contraddittoria all’orizzonte. Minacciosa perché segnerà un nuovo stile di vita, più rassegnato rispetto al passato; contraddittoria, perché la vacanza è per antonomasia la possibilità di andarsene lontano alla scoperta di nuovi luoghi. Insomma, via libera ai negazionisti della realtà: più facile raccontarsi una bugia sul come sarà bello starsene al mare solo nelle vicinanze di casa, a prendere il sole sulla spiaggia libera, piuttosto che analizzare la crisi e, magari, imparare qualcosa di buono.
Gli italiani e le vacanze ai tempi del coronavirus
Secondo l’Agi, 35 italiani su 100 faranno vacanze brevi con 2 o 3 pernottamenti al massimo, restando nelle vicinanze di casa. Staycation, dunque, a tutti gli effetti. A maggio 2019, la pensava così meno della metà degli intervistati. «Ignorare un quadro tanto drammatico e non reagire con immediatezza adottando provvedimenti focalizzati sul turismo sarebbe follia», ha dichiarato il Presidente di Confturismo-Confcommercio, Luca Patané. A non fare le vacanze, secondo l’indagine di Confturismo-Confcommercio, invece, un italiano su cinque.
«Se il nostro è davvero un settore strategico per l’economia italiana, e non sta certo a noi doverlo dimostrare, perché basta guardare i fatti senza bendarsi gli occhi, allora il Governo studi subito, dopo il ‘Cura Italia’, un decreto ‘Cura Turismo», ha aggiunto Patané. E nel frattempo, l’offerta turistica è costretta ad adeguarsi alla paura e a portafogli non sempre pieni. In che modo? Inventando vacanze “sicure”, a prova di coronavirus, e lanciando slogan da mulino bianco, come l’hashtag #stayinItaly.
L’abitudine alla staycation
L’essere umano è un animale abitudinario. E il rischio che la staycation da necessità si trasformi in nuova normalità è dietro l’angolo. Sul Sole 24 ore, Massimo Feruzzi parla di «un turismo caratterizzato dalla ricerca di sicurezza all’interno del proprio nido». Nido che potrebbe essere sempre più difficile abbandonare con il passare del tempo. E che soprattutto avvantaggerà chi è in possesso di seconde case, evidenziando le disuguaglianze tra classi. La staycation è la vittoria del localismo radicale, quello che inneggia a comprare italiano e a vivere italiano, dimenticando che fuori c’è una realtà sfaccettata che merita di essere esplorata. Localismo che finisce per danneggiare le piccole realtà, impreparate ad accogliere un turismo di massa che rischierebbe di soffocarle. E intanto, come criceti sulla ruota, passeremo le nostre vacanze all’interno della nostra zona di comfort. Senza domandarci cosa ci sia al di là della linea rossa, ma ben felici all’interno di un nido che è la nostra nuova coperta di Linus.
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