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Il dick shaming esiste. Ed è un tabù
Quando la mia amica mi ha messo in guardia nei confronti del ragazzo con cui uscivo dicendomi di lasciarlo perdere «perché l’aveva talmente piccolo» che lei, a suo tempo, «non aveva sentito niente», ho capito che dietro quel consiglio, non troppo disinteressato, c’era qualcosa di violento. Se a essere criticato fosse stata la taglia di una ragazza, avrei parlato di body shaming. Ma in questo caso, a essere esposti al pubblico ludibrio erano stati i genitali di un ragazzo. Dick shaming a tutti gli effetti, insomma. Una pratica di cui si parla poco ma che in realtà è molto più diffusa di quanto si pensi. E che crea sofferenza in chi la subisce.
L’umiliazione da dick shaming
A.G. ci racconta che la sua prima esperienza di dick shaming è avvenuta con una ragazza. «La relazione era agli sgoccioli, le cose non funzionavano e a una certa se n’è uscita dicendomi che non provava piacere durante i rapporti sessuali perché ho il pene piccolo. Ho vissuto la cosa come una forma di violenza nei miei confronti, abbastanza umiliante, ma ho deciso di soprassedere. Il mio valore non dipende dalle dimensioni del mio pene». «Una ragazza vedendolo piccolo non ha voluto fare sesso orale», si sfoga F.G.. «E io ci soffro un casino. Negli spogliatoi guardo i peni degli altri con voglia, anche se sono etero. L’immagine è tutto oggi». «Era una ragazza con un grande appeal. Nel giro di un mese aveva fatto piazza pulita di tutti i miei amici», racconta R.M.. «Aveva un perfetto termine di confronto con le dimensioni di tutti i miei amici, il che mi metteva in soggezione. Per l’ansia il mio pene si avvicinò alle dimensioni di una nocciolina. Lei mi disse che con quello “al massimo ci si puliva i denti”. Un colpo forte da accettare. Presi i miei preservativi, decisamente di taglia troppo larga per me, e me ne andai». R. non è mai stato da uno specialista, nonostante il disagio molto forte. «Mi è capitato, e me ne vergogno, di mettermi carta igienica nelle mutande per farlo sembrare più grosso. La cosa peggiore è il modello sociale al quale non si sente di poter tener testa. Ci si sente biologicamente esclusi». Storie accomunate da un senso di impotenza nei confronti della percezione del proprio corpo, dentro e fuori di sé.
Le dimensioni contano
Per l’uomo medio, il pene è legato al concetto di virilità e stima di sé. Se a questo si aggiunge, come ricorda la sessuologa Sabina Fasoli, che il sex toy più venduto è un dildo di 24 centimetri, si capisce come le dimensioni siano tutt’altro che un fattore secondario. Secondo uno studio di Psychology Today condotto nel 2015 su 200 uomini, più del 68% degli intervistati ha dichiarato di essere preoccupato per le dimensioni del proprio pene. Ma in genere i maschi tendono a sovrastimare le grandezze medie dei genitali. «Un fatto che genera ansia e timore di mostrarsi in pubblico», spiega Fasoli. Le dimensioni, dunque, contano. Soprattutto in una società ipersessualizzata e fallocentrica come la nostra, sovraesposta a pornografia e a tabù sulla fecondità che ci trasciniamo da secoli. «Il porno diventa un metro di paragone: crea aspettative sul rapporto sessuale. Il meccanismo che si instaura è molto semplice: se non sono come nei film, c’è qualcosa che non va. Per questo è importante intraprendere un lavoro psicologico». E così, in tutto il mondo si moltiplicano le richieste di falloplastica. «Ogni anno sono circa diecimila, ma l’80% degli uomini che la richiede non ne ha bisogno».
Quando ricorrere alla falloplastica
Il dottor Alessandro Littara si occupa da 23 anni di allungamento e allargamento del pene. Una procedura che dovrebbe essere limitata solo a chi soffre di micropenia, cioè a chi ha un pene inferiore di 2,5 volte le dimensioni medie, sia da non eretto che in erezione. «Ricevo circa venti mail al giorno», spiega. «Ma a noi si rivolgono un po’ tutti: da chi non riesce a superare i sette centimetri in erezione agli attori porno, che per motivi di competizione vivono una qualche forma di disagio. È una questione di percezione del proprio corpo, perché, dopo l’operazione, orgasmo, sensibilità ed eiaculazione rimangono le stesse». Nel caso di micropenia la falloplastica è coperta dal sistema sanitario nazionale, liste d’attesa permettendo. Un servizio che, secondo il dottor Littara, dovrebbe essere esteso anche a chi soffre di un disagio importante, pur non avendo malformazioni come nel caso della micropenia, facendo attenzione a distinguere dai capricci. «Ci sono persone che vivono problematiche psicologiche serie. E poi ci sono le richieste spropositate», ci dice il professor Francesco D’Andrea dell'Università di Napoli Federico II. «La falloplastica ha un senso se ci sono alterazioni evidenti e marcate. Farla per aumentare la potenza sessuale è una forzatura che andrebbe contrastata». Insomma, accettarsi è meglio, se possibile, peccato che bisogno e abuso corrano spesso sullo stesso filo.
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