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L'eredità di Dian Fossey, protettrice dei gorilla
La vita di Dian Fossey sembra essere la trama di un film. Anzi, a dir la verità lo è stata. Prima un libro, scritto di suo pugno, poi un film: Gorilla nella nebbia, si chiamano entrambi, un titolo che racchiude in poche parole la missione che ha reso celebre la zoologa americana. I gorilla, appunto, i gorilla di montagna che ha prima studiato e poi difeso, in una guerra al bracconaggio che le è costata la vita.
La vita di Dian Fossey
Era il 26 dicembre del 1985, tra i Monti Virunga in Ruanda, ma quello non era il primo Natale che Dian Fossey avrebbe passato in Africa. La sua vita, da ormai vent’anni, era legata indissolubilmente a quella terra. In particolare ai gorilla, di cui si innamorò nel suo primo viaggio nel continente: sette mesi, tra il settembre del 1963 ed il successivo aprile. La vita da terapista occupazionale in America non era mai stata così noiosa, una volta scoperta l’Africa.
Durante un periodo passato in Tanzania, la sua vita cambia completamente prospettive: come scriverà poi nel suo libro, l’incontro con il primatologo George Schaller ha sancito il punto di svolta: è grazie allo studioso connazionale che Fossey scopre il mondo del gorilla. Nel suo caso, del gorilla di montagna, una sottospecie del gorilla orientale che nessuno, come lei, saprà conoscere e apprezzare: tornata negli Usa, ci mette meno di niente a rifare la valigia. Il biglietto sarà di sola andata.
La battaglia con i bracconieri
Poi la sera del 26 dicembre del 1985 tutto si spense con un colpo di machete, che è bastato per far passare alla storia Dian Fossey. La terapista occupazionale che non era più terapista da una vita: era primatologa, una delle migliori a dire il vero, tra le tre selezionate dallo zoologo Louis Leakey per studiare i primati più rari al mondo. Era una Leaky’s Angel, ma anche qualcosa di più. Soprattutto, è stata un’attivista, che con amore ha passato la vita tra i gorilla e per lo stesso amore è morta, caduta in battaglia.
Una delle tante che ha portato avanti contro i bracconieri, gli stessi che hanno ucciso Digit, il suo gorilla preferito, nel 1977. Si è scatenata una scintilla in Dian che solo la morte ha spento. Oggi, i gorilla di montagna che sono rimasti devono la loro esistenza anche agli sforzi fatti dalla Fossey trent’anni fa: imboscate alle capanne dei bracconieri, finte esecuzioni per spaventarli, insomma, la zoologa ha risposto colpo su colpo allo sterminio di una specie. Finché qualcuno non l’ha uccisa per questo.
Il gorilla è a rischio estinzione
Ci sono circa mille esemplari che abitano tra le foreste ad alta quota della Repubblica Democratica del Congo, del Ruanda e dell’Uganda. Erano appena 680 nello scorso decennio, arrivando persino al rischio massimo di criticità: oggi non sono più nella lista rossa della Iucn, ma ancora a rischio con con cifre così basse. Sono animali a rischio di estinzione, sia i gorilla di montagna, che i “cugini” delle pianure. Sia il gorilla orientale, sia il gorilla occidentale, le due specie principali.
Lo sono, malgrado gli sforzi della Dian Fossey Gorilla Found, l’ente che raccoglie donazioni per la causa e che prende il nome naturalmente dalla zoologa che ha pagato con la vita il suo istinto di protezione. Ora tocca alle sue eredi, come l’italiana Veronica Vecellio, che è partita per il Ruanda nel 1999, per la tesi di laurea, e oggi è ancora lì, sulle orme di Dian. Veronica Vecellio ha raccontato: «Il film Gorilla nella nebbia, che racconta la vita di quella straordinaria donna, è stato un’ispirazione e ha cambiato per sempre la mia esistenza».