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«La cura dei bambini non è una questione solo femminile». Il congedo di paternità esteso, illusione italiana

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Nella legge di bilancio votata alla Camera è previsto un pacchetto chiamato Family Act, che incide su materie quali il sostegno all'occupazione femminile; la promozione della natalità e il sostegno dell'autonomia finanziaria dei giovani. Tra le iniziative del Family Act, però, non è stata trovata copertura finanziaria per il congedo di paternità esteso. La proposta, depositata dall’onorevole Giuditta Pini quasi tre anni fa, avrebbe - se fosse stata finanziata - portato a tre mesi il congedo per i neopapà.

Congedo di paternità, l'Italia ultima in Europa

In base alle attuali norme (e grazie a una recentissima estensione) i padri italiani possono invece chiedere fino a dieci giorni. Si tratta di una “concessione” che lascia comunque l’Italia all’ultimo posto in Europa per congedo lavorativo accordato ai padri. Ne abbiamo parlato con Giuditta Pini, che ha presentato la norma rimasta poi fuori dal Family Act in maniera inaspettata.

VD: L'estensione del congedo di paternità è stata ritenuta una misura sacrificabile. Non ne è stato capito il senso?

GP: Non stiamo chiedendo la luna, anzi. In Spagna erano a zero, proprio come noi, e in cinque anni hanno portato il congedo di paternità a 90 giorni. Il nostro è stato un percorso di quasi tre anni e sembrava poter dare i suoi frutti già ora. Dopo aver ottenuto rassicurazioni abbiamo però scoperto che non c’erano i soldi necessari per la copertura economica. A novembre la mancata copertura finanziaria era ancora uno scoglio superabile. Si consideri che anche per l’assegno unico non c’erano i soldi a novembre, poi sono stati trovati. Abbiamo aspettato per capire se sarebbe cambiato qualcosa e così non è stato.

VD: Cosa ha impedito (risorse economiche a parte) l’inclusione della misura nel Family Act?

GP: Ho sempre saputo che questa non era una proposta mainstream. Un certo mondo imprenditoriale è preoccupato. Ora mi viene da pensare che sia stata utilizzata come foglia di fico. Consideriamo che l’estensione a 10 giorni era il minimo, perché l’Unione Europea ci ha obbligati. Siamo passati da zero a dieci giorni: è una base di partenza ma bisogna lavorare ancora per estenderlo. Resta in sospeso la mia proposta di legge per portarlo a 120 giorni.

VD: In quanto a congedo di paternità l’Italia è ancora tra i peggiori paesi europei. Ci sono ragioni di tipo culturale dietro questa volontà politica?

GP: Spesso anche da queste bocciature viene fuori il sentimento che c’è nel Paese. Quando presentai la proposta ci fu un’alzata di scudi. Gli imprenditori, ad esempio, hanno paura di perdere molti dipendenti, magari in quelle aziende dove sono impiegati madre e padre del nascituro, per periodi lunghi. La maternità, ancora adesso, viene vista come un costo per il datore di lavoro e forse si vuole scongiurare che si faccia largo la stessa percezione anche con la paternità.

VD: Cosa significa non riconoscere questo congedo ai padri? In che modo potrebbe influire sulla vita di famiglia e quindi sulla società?

GP: Negare questa estensione significa ancora una volta dare il messaggio che la crescita e la cura del bambino sono questioni delle quali deve occuparsi la donna. Il fatto che lo Stato sostanzialmente riconosca quasi esclusivamente il congedo di maternità indirizza già la società, anche se la Costituzione dice che entrambi i genitori in modo uguale devono provvedere a mantenimento, istruzione ed educazione dei figli. Va detto poi che senza congedo di paternità le coppie hanno minore condivisione dei primi mesi di vita del bambino e questa spesso causa una deresponsabilizzazione da parte del padre, che comincia, a volte anche inconsciamente, a pensare che delle questione del bambino se ne occuperà la donna.

VD: Il congedo di paternità è una questione che potrebbe incidere anche indirettamente sulle politiche sociali rivolte alle donne italiane. Uno studio Inapp definisce una “generazione sandwich” tra le donne italiane: quella “fascia di età tra i 35 e 54 anni in cui la simultaneità della gestione e cura di bambini e anziani. proprio come in un panino, schiaccia la donna in un contesto di doppio lavoro con scarso supporto in termini di welfare locale e di assenza di condivisione da parte del partner, determinandone scelte e vincoli”. Un congedo di paternità più lungo avrebbe anche effetti su questo?

GP: Cambierebbe il modo in cui noi vediamo i caregiver familiari che si prendono cura delle persone che hanno bisogno, bambini inclusi. I caregiver hanno diritti e doveri. Questo congedo negato ai padri ha ripercussioni anche sul genere femminile, ed è una delle cause del gender pay gap. Il fatto che per quattro mesi le donne possano non andare a lavorare solitamente viene scontato, spesso con la perdita del lavoro. L’idea è di cambiare tutte le politiche familiari, creare condizioni per avere Rsa con rette non così elevate, dare a tutti la possibilità di avere asili nidi a prezzi accessibili. In Italia abbiamo sempre meno bambini e sempre più anziani. Bisogna tutelare chi se ne prende cura.

Le difficoltà dei padri separati in Italia

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