emergenza coronavirus
Ci voleva il coronavirus per accorgersi del problema carceri
È caos nelle carceri italiane, dove a Bologna si registra il primo detenuto morto per coronavirus, mentre altri due sono risultati positivi. Positivo anche un agente di polizia penitenziaria. Solo poche settimane fa i detenuti si erano ribellati a un sistema carcerario che sta mostrando le sue debolezze proprio in un momento in cui l’Italia, ripiegata sui suoi confini e in quarantena, è già in grave sofferenza per l’epidemia di SARS-CoV-2. Un altro amaro risveglio per il Paese che, però, almeno stavolta, poteva essere evitato.
La rivolta nelle carceri per il coronavirus
Le proteste sono scoppiate in seguito alle misure di restrizione dovute all’emergenza sanitaria del coronavirus. I primi a dare segni di insofferenza, sono stati i detenuti di Modena che, domenica 8 marzo, hanno messo a ferro e fuoco la struttura nella speranza di evadere in massa. Un tentativo che ha lasciato a terra sei morti, vittime probabilmente di overdose da farmaci saccheggiati dall’infermeria. Lunedì 9 marzo, stessa sorte era toccata a San Vittore a Milano e poi a Foggia, a Napoli, a Frosinone, a Roma e a Palermo.
A innescare la miccia a San Vittore, i detenuti del terzo raggio, detto La Nave, che sono saliti sul tetto gridando «libertà», bruciando alcuni oggetti. A Foggia, invece, i carcerati sono riusciti a evadere in massa, dopo aver divelto un cancello della block house, la zona che li separa dalla strada, mentre all’ingresso della casa circondariale è stato appiccato un incendio. A Repubblica un detenuto ha spiegato: «Vogliamo l’indulto e l’amnistia non possiamo stare così con il rischio del coronavirus. Noi viviamo peggio di voi, viviamo nell’inferno».
I carcerati in Italia
Coronavirus e blocco dei colloqui tra detenuti, parenti e avvocati sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso di un sistema al collasso. Basti pensare che i 190 istituti penitenziari italiani ospitano complessivamente 60.769 detenuti, di cui 19.888 stranieri (dati ministero della Giustizia). Il tasso di sovraffollamento è del 119%, il più alto dell’Unione Europea, ma non mancano punte del 200%. Il che significa che dove dovrebbe esserci un solo detenuto, nei fatti ce ne stanno due.
D’altro lato, come denuncia Antigone, il numero di crimini è in calo e dunque anche il numero di ingressi in carcere è minore. Il sovraffollamento si spiegherebbe, quindi, con l’aumento della durata delle pene, frutto dei provvedimenti legislativi degli ultimi anni, che utilizza la custodia cautelare come la panacea di ogni male.
La situazione in prigione
Secondo il rapporto Antigone stilato nel 2019, nell’81% delle carceri non c’è connessione a Internet, mentre nel 65% non è possibile avere contatti tramite Skype con i propri cari. In alcuni casi la televisione deve essere spenta entro la mezzanotte. Secondo Claudio Paterniti, dunque, la miccia era già accesa da tempo. «In un momento in cui si ha l’impressione che il mondo stia crollando, questo provoca uno stato emotivo molto precario. Per ogni bisogno ci si rivolge a qualcuno, si è in balia dell’istituzione». E le misure di prevenzione avrebbero peggiorato la situazione.
«Nelle carceri gli agenti patogeni si diffondono più facilmente che all’esterno, perché c’è promiscuità e sovraffollamento. Le misure prese sono giuste e comprensibili, ma hanno compresso i diritti delle persone detenute, dal diritto alla formazione a quello dei contatti con l’esterno». Ai carcerati, ci spiega Paterniti, sarebbe fondamentale garantire la possibilità di telefonare o chiamare via Skype. «Il carcere è un luogo permeabile, ma nella quotidianità detentiva c’è molto vuoto. Una telefonata può essere l’unico contatto che rimane con l’esterno». E un atto di umanità dovuto, in un momento in cui la paura può farci scordare di essere uomini e donne.
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