donne curde
Noi siamo le combattenti curde
Hevrin Khalaf, Meryem Kobane, Cappuccio Rosso. Nomi e nomignoli letti qua e là tra le notizie dei quotidiani. Non sembrano familiari, forse non richiamano neanche l'attenzione perché sembrano echi lontani, diversi. Eppure, sono i nostri nomi, i nomi di donne comuni, donne che sognano, che sorridono e che lottano.
E sono nomi macchiati di sangue, segnati dalle ferite, oltraggiati da una politica di repressione. Sono i simboli di una grande battaglia, quella della resistenza contro l’Isis. Siamo le combattenti curde, voci fuori dal coro che si fanno sentire con tono deciso, superando le frontiere dei paesi, delle culture e delle religioni.
Le combattenti curde sono state in prima linea contro l'Isis
Io, Hevrin Khalaf, sono stata uccisa il 12 Ottobre 2019 nel Nord-Est della Siria. Alcuni dicono a colpi di arma da fuoco, altri lapidata. Forse da rappresentanti dell’Isis o da milizie filo-turche: la verità non è venuta fuori, ma poco importa. Sono stata assassinata perché mi battevo per un dialogo, per la coesistenza pacifica fra curdi cristiano-siriani e arabi. Ero segretaria generale del Partito del Futuro siriano. Volevo uno Stato laico, non violento, che proclamasse l’uguaglianza tra uomini e donne. Sono stata uccisa perché volevo la democrazia.
Io, Ayse Deniz Karacagil, sono morta a Raqqa, ormai il 29 maggio del 2017. Forse qualcuno si ricorderà di me nel graphic novel di Zerocalcare, Kobane calling, dov’è stata raccontata la mia storia. Mi chiamavano Cappuccio Rosso e lo stato turco mi aveva condannato a 100 anni di carcere per le proteste avvenute a Gezi Park, in difesa del verde pubblico.
Cappuccio Rosso è stata immortalata da Zerocalcare in Kobane calling
E, per questa ragione, mi hanno definito e condannato come militante terrorista. Ma ho avuto l’occasione di essere scarcerata molto presto e sono stata chiamata da Kobane, dove ho partecipato al movimento di resistenza contro la minaccia dello Stato islamico. Sono stata una latitante, ma ho deciso di far parte delle “donne con il kalashnikov”, fuggendo sulle montagne e unendomi al Partito Comunista Marxista-Leninista turco fino a quella mattina del 29 maggio. Sono stata uccisa perché volevo la democrazia.
Io, Meryem Kobane, sono comandante YPJ, partigiana curda, una delle fondatrici dell’esercito di autodifesa. Continuo a combattere tra le montagne per annientare l’Isis e mettere al sicuro Rojava. Credo che uno dei principi basici della rivoluzione sia l’educazione. Educare la gente ai diritti delle donne, alla democrazia, all’uguaglianza, alla laicità, alla libertà e alla non violenza.
Hevrin Khalaf è stata uccisa e poi il video del suo corpo è girato su internet
Quello in cui credo fermamente è abbattere ogni tipo di egemonia maschile sulla società curda, giacché le donne in Medio Oriente non hanno alcun tipo di voce, se non quella che io, insieme alle mie compagne combattenti, stiamo mostrando al nostro popolo e al mondo intero.
Lasciare casa e andare a combattere in montagna è un simbolo politico molto forte che dimostra che anche le donne sono capaci di difendere il loro popolo e i diritti di tutti. Sarò uccisa perché voglio la democrazia?
Le donne curde combattenti sono una ventata di democrazia in Medio Oriente
Siamo nomi, volti, storie, donne, esseri umani. Rappresentiamo il dialogo e l’emancipazione in Siria, una ventata di modernità e democrazia per il nostro popolo, e un ponte di pace tra oriente ed occidente. Meritiamo che i nostri nomi vengano ascoltati, ricordati, letti al di là della facile retorica occidentale, viviamo ormai solo nelle vostre voci, nei vostri occhi, nelle vostre letture e nella vostra voglia di raccontarci al mondo. Noi siamo le combattenti curde.