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I cimiteri dei feti sono una violazione dei diritti umani

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L’Italia è costellata di cimiteri dedicati ai feti abortiti. A balzare all’onore delle cronache stavolta è stato il cimitero Flaminio di Roma, dopo il post denuncia di Marta L. che ha visto il suo nome scritto sul luogo di sepoltura del suo feto. Questo nonostante nelle pratiche burocratiche avesse specificato di non procedere con le esequie. E nel frattempo il garante per la protezione dei dati personali ha avviato un’istruttoria per accertare eventuali violazioni della privacy. A legiferare sulla fine dei feti, sono le Regioni, a cui si affiancano i regolamenti comunali. In particolare, un regolamento di polizia mortuaria stabilisce che la sepoltura è sempre possibile. La norma nazionale, in effetti, prevede, per decreto presidenziale, una distinzione in base all’età gestazionale. L’articolo 7 prevede infatti che «a richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane”. Normalmente, i feti tra le 20 e le 28 settimane vengono avviati all’interramento in campo comune “al pari delle parti anatomiche riconoscibili». Ma la cronaca ci insegna che la storia non va sempre in questo modo. E così, se la normativa tutela la libertà di chi sceglie di seppellire il feto, non prende in carico la volontà di chi non ne desidera la sepoltura. Ma in un Paese che si definisce all’avanguardia sui diritti umani, vedere il proprio nome affisso su una croce è a tutti gli effetti una tortura psicologica, perché viola costamente la propria intimità. Mettendo a nudo una scelta personale si scontra con i diritti difesi dall’articolo 8 della CEDU. La convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali sottolinea infatti come ogni persona abbia diritto al rispetto della propria vita privata. I cimiteri dei feti, luoghi di adorazione degli anti-abortisti, invece, deumanizzano le donne, le spogliano della loro volontà, in una parola le rendono cose. Prigioniere di una colpa che non appartiene loro, che è la più grave forma di violazione dei diritti umani. Il cimitero degli Angeli di Roma non è l’unico cimitero dei feti in Italia. Spesso gestiti da associazioni anti-aborto, sono l’ennesima violenza attraverso cui una donna deve passare se vuole abortire. Perché, in un Paese incivile, la volontà di una donna si annulla nel suo destino di madre. Tanto che anche i giornali che hanno riportato la notizia hanno utilizzato la parola “mamma” al posto di “donna”. Le croci che affondano nel fango dei campetti, si portano dietro l’ennesimo tentativo di colpevolizzare le donne, di ridurle a corpo riproduttivo. Ed è proprio dall’appropriazione del corpo e dei suoi prodotti che le donne devono ripartire, rivendicano il diritto alla neutralità dell’aborto. Ricordando che le croci, in un Paese civile, custodiscono il riposo dei morti, non scelte di libertà.

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