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Chef Rubio, l’ultimo baluardo pop della sinistra italiana

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Le prime parole di Chef Rubio, nome di battaglia di Gabriele Rubini, uno degli ultimi mohicani - se Michael Mann fosse nato a Trastevere - italiani: «Non faccio niente di speciale: sono un cittadino comune, che non ha paura, ci mette la faccia, fa resistenza civile. Quotidianamente». Ce lo racconta personalmente in un’intervista telefonica, ma è come se parlasse ai suoi follower. Centosessantamila su Twitter, cinquecentottantamila su Instagram, settecentotrentamila su Facebook: nell’epoca in cui tutti gli esponenti politici sono probabilmente più presenti sui social che in Parlamento, non sono numeri da poco. E Chef Rubio, sui social, sembra perseguire un solo obbiettivo: (contro) informare. «Offro controinformazione, distribuisco notizie, spesso segnalatemi da chi mi segue, soprattutto su Instagram. Faccio politica? Tutti i giorni, come dovrebbero fare tutti, ma non quella dei partiti». Una politica di resistenza, all’attacco, in romanesco, che non si limita solo ai social.

«C’è più gente per bene che squallidi personaggi»

Oggi Chef Rubio, infatti, tra un programma e l’altro, si muove sul territorio e per il territorio, anche in senso non metaforico. Partecipa attivamente, infatti, al censimento del parco arboreo Cavallo Pazzo della Garbatella, volto a dimostrare l’importanza che il verde riveste nei nostri tessuti urbani. La speranza? «Dare uno spunto, accendere la miccia: è il primo lavoro di questo tipo a Roma e in Italia, spero ce ne siano altri».

Come combattere il bullismo secondo Chef Rubio

Da un progetto a un altro senza barriere, sbarre, confini (e fine, al momento): Chef Rubio ha infatti varcato i cancelli del carcere di Rebibbia, e non per i motivi che farebbero felici i suoi detrattori. Cura e dirige Numb_Hertz, un ciclo di lezioni, incontri e analisi sull’Antigone di Sofocle, tenuto dagli stessi reclusi, ragazzi «che stanno studiando dietro le sbarre: chi l’italiano, perché straniero, chi si impegna per i diplomi di medie e superiori. Sono attenti, sono partecipi, li aiuta a staccare un po’». Ma l’impegno di Rubio non finisce qui: dallo scorso settembre è in giro, anche, come produttore esecutivo di Elias, cortometraggio sull’amicizia tra un bambino e un cane, in un campo rom alla periferia di Roma. Un’esperienza che, dice, gli ha permesso di sviluppare «un’amicizia vera, senza filtri, lontana dagli stigma della nostra società» con chi, in quei campi rom, lo ha accolto permettendogli di integrarsi, capire, condividere. Un’esperienza che, purtroppo, stride con le cronache capitoline degli ultimi mesi, da Torre Maura a Casal Bruciato. Ma, anche qui, lo chef non ci sta.

«I tg raccontano solo una verità di comodo»

«C’è più gente per bene che squallidi personaggi, ci sono tante persone che combattono l’ignoranza e la speculazione, che si oppongono a chi in quelle periferie ci va solo per accaparrarsi voti: i tg, giustamente o meno, raccontano solo una verità di comodo, dando spazio a coloro che si proclamano protettori delle periferie ma non fanno niente. I veri parassiti, cioè coloro che additano altri come tali. E i risultati si vedono sui social e nei seggi». L’alternativa, quindi, è combatterli sui loro stessi campi, con le loro stesse armi. Il Ministro dell’Interno lancia l’evocativo #VinciSalvini? Il guerrillero Rubio, abbandonate le padelle, risponde con lo #SfottiSalvini e una chiamata alle armi che è tutta un programma: «Gioca e sfotti Matteo Salvini. Vai ai suoi incontri pubblici e perculalo». Un invito che, inconsciamente o meno, con buona pace del vicepremier, hanno accolto in tanti. E cosa si vince in questo anti-contest? «Vinci che prima o poi te lo levi dar cazzo».

Per Chef Rubio la resistenza civile non è un pranzo di gala
Per Chef Rubio la resistenza civile non è un pranzo di gala

Un esempio fra i tanti, forse diretto, crudo, sicuramente efficace, rispetto «ai linguaggi aulici da talk show, lontani dal popolo. Oggi a metterci la faccia - e spesso a pagare in prima persona - ci sono io, ma non solo: penso a Speranza, con le sue bandiere della Palestina sul palco, penso a Massimo Pericolo. Ognuno con il suo stile e il suo pubblico, certo, ma capace comunque di dire qualcosa. A differenza delle istituzioni, dei partiti, di chi l’opposizione dovrebbe farla sul serio». Parole che ci si aspetterebbero da altri, non da un ex-rugbista, cuoco, intrattenitore, attuale ultimo baluardo pop della sinistra italiana. O perlomeno di una certa sinistra, ormai sempre più spesso lontana dalle urne.

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