aldo bianzino
Federico Aldrovandi e tutti gli altri
Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Aldo Bianzino, Federico Aldovrandi: dietro a ogni nome, un caso di malapolizia, dietro a ogni nome, storie di famiglie spezzate, di depistaggi e di silenzi. Come quello durato oltre nove anni sul caso Cucchi, squarciato a ottobre 2018 grazie alla confessione del carabiniere Francesco Tedesco, che ha ammesso il pestaggio di Stefano, accusando i colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo di essere gli autori dell’aggressione.
Nove lunghi anni che però «non potranno riportare Stefano», come ha detto la sorella Ilaria Cucchi a Domenica in, diventata da subito simbolo della lotta agli abusi di Stato. Una lotta per quella verità raccontata anche nel docu-film Sulla mia pelle, a proposito del quale l’agente di polizia Mauro Maistro aveva scritto su Facebook: «Ci fanno i soldi sorella e parenti, avvocato e regista. La celebrazione di una persona che non valeva poco da vivo e che da morto è diventato un affarone».
La sentenza sul Caso Cucchi
Prima di lui, a emettere la sua sentenza, perfino l’ex-ministro dell’Interno Matteo Salvini, che si infilò nel caso Cucchi con un «Si dovrebbe vergognare, fa schifo». Ma Ilaria è andata avanti. «Andremo dovunque ci daranno voce. Finché ne avremo forza. Non ci fermeranno».
Agli hater che non l’hanno risparmiata in tutti questi anni ha risposto con la sua tenacia. Sullo sfondo sensazioni distorte che portano a percepire alcune categorie, il tossico o l’immigrato, come rifiuti destinati alle periferie sociali.
Patrizia Moretti combatte ancora per il figlio
Una sorte toccata anche a Federico Aldrovandi, massacrato di botte a diciotto anni. Unica colpa, quella di essere vestito “da centro sociale”. Da quel 25 settembre 2005 la madre Patrizia Moretti non ha ceduto ai tentativi di isolamento della propria famiglia.
«I giornali riportavano ciò che veniva detto o comunicato loro dalle fonti ufficiali. Ma è chiaro che questa propaganda era finalizzata a isolare la famiglia della vittima, a colpevolizzarla, e isolare e colpevolizzare la stessa vittima che doveva essere considerata responsabile della propria morte», ha raccontato l’avvocato Fabio Anselmo a Vice. Decisiva sarà la decisione di Patrizia di aprire un blog e pubblicare una lettera che aveva scritto. «Io avevo un po’ paura, non ero molto pratico di Internet e ho tergiversato per tre mesi», ha fatto sapere l’avvocato.
Il blog di Patrizia Moretti
L’apertura del blog ha rappresentato il giro di boa per il caso Aldrovandi perché ha determinato un cambio radicale nella strategia legale: da quel momento in poi, infatti, l’avvocato e la famiglia hanno accusato apertamente procura e questura di non collaborare nella ricerca della verità sulla morte di Federico e, addirittura, di inquinare e tentare di affossare il caso. «Dovevamo dire una cosa chiara: Federico è stato ucciso punto e basta, la droga non c’entra, c’entra solo la violenza. Non avevamo il coraggio di prenderne atto, di dirlo e di urlarlo. Poi l’abbiamo avuto».
C’è poi il caso di Aldo Bianzino. È il 2007 e il falegname 44enne viene fermato per una manciata di piantine di cannabis. Tornerà a casa in una bara. Il corpo presenta ematomi, costole rotte e danni a fegato e milza. La compagna, Roberta Radici, morirà prima di sapere la verità.
Cucchi, Aldrovandi e Bianzino sono stati colpevolizzati dai media
Sarà il figlio Rudra Bianzino a chiedere la riapertura del processo per la morte del padre, in seguito a nuove perizie mediche, effettuate nel 2017, secondo le quali la causa di morte sarebbe un’emorragia subaracnoidea provocata “da un trauma e non da aneurisma”, come ritenuto in un primo momento. Storie di morti di Stato e dei loro familiari che lottano perché non siano normalizzate in “morti per cause naturali”, lasciando sulla loro pelle tutto il peso del silenzio.
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