lavoro nero concerto
Il business dei concerti si fa sfruttando i giovani
Te lo propone un amico, che è già nel giro e ha il contatto giusto. Perché no? Ti pagano e vedi pure il concerto gratis. Era il 2006, il live quello di uno dei gruppi della mia adolescenza a Roma, Palalottomatica. Jeans sdruciti, maglietta, felpa, sneakers. Vengo presentato al caposquadra. Mi guardo intorno: l’edificio è tutto un groviglio di cavi, assi, canaline, torri metalliche, si sente il rumore dei martelli sui chiodi, gente nervosa che passa di fretta, ordini.
Corrono tutti, sembrano sapere cosa fare. Mi chiedo come da questo caos possa nascere un ordine, se qualcuno ha fatto dei calcoli. Mi sembra tutto improvvisato, eppure funziona, si vede che funziona. Ci sono da spostare quelle casse piene di cavi (peso una quarantina di chili). Ci vuol poco a capire che saranno soldi sudati. Ammesso di vederli, dato che non ci sono contratti, e la paga è alla fine. Ottanta euro per una ventina di ore di lavoro in meno di un giorno e mezzo. A farmeli avere sarà il mio amico.
Se quel dannato pezzo di ferro mi cade sul piede rischia di azzopparmi a vita. Tanto vale comprarselo, a quel punto, il biglietto
Chi sono i colleghi? Non solo ragazzi come me, all’epoca venticinquenne. Ci sono disoccupati, studenti universitari, persino un insegnante che fa questo lavoro per arrotondare. Mi sembra di essere l’unico alla prima esperienza. Niente assicurazione, niente divise, nessuno mi ha chiesto i documenti, presumo neanche a loro. Mi piacerebbe capire di più – facevo già il giornalista - ma socializzare è difficile: si lavora e basta.
Arrivano delle travi da (almeno) ottanta chili: bisogna essere in due o tre per portarle. Si corre, le penali per i ritardi sono alte. Se quel dannato pezzo di ferro mi cade sul piede rischia di azzopparmi a vita. Tanto vale comprarselo, a quel punto, il biglietto. Chi ha più esperienza è attrezzato: guanti, calzature rinforzate. Gli altri, quelli come me, e sono la maggior parte, no.
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Bisogna montare i fari. Chiedono chi vuole salire sulla gru, una specie di torre mobile fatta di tubi sottili. Cerco di defilarmi, ci va l’insegnante: dieci metri di altezza, lui su a sferragliare e noi sotto in cinque o sei a fare da contrappeso. Neanche una corda ad assicurarlo alla struttura. Mi chiedo perché lo facciamo. Mi viene voglia di andarmene, ma resto, il mostro prende forma, poi eccolo montato. Poche ore al concerto. Via a casa, doccia, un paio di ore di sonno, e poi di nuovo lì, per lo show. Lo guardiamo, poi riprendiamo a lavorare. Stavolta sarà lunga: cominciamo alle 11 di sera, finiamo a mezzogiorno, stremati.
Molti anni dopo, la situazione non è cambiata. L’organizzazione di concerti ed eventi è un business dove i soldi si fanno giocando al ribasso. Secondo un’inchiesta di On Stage, che cita due dei maggiori promoter in Italia, il prezzo del biglietto va per il 40% al cachet degli artisti, il 25% al costo dei locali (quindi organizzazione evento, affitto, servizio d’ordine, licenze), il 20% in spese fisse (SIAE, IVA), il 10% per il noleggio delle strutture. Resta un 5% di guadagno (“quando va bene, e non siamo in perdita” lamentano gli impresari).
Disoccupati cronici, studenti universitari, persino un insegnante che fa questo lavoro per arrotondare
Si taglia dove si può, ingaggiando cooperative che assumono chi vogliono. Migranti e profughi? Vanno benissimo. Sono forti, e non fanno domande, figuriamoci rivolgersi ai sindacati. O chiamare i carabinieri, dato che non hanno i documenti. Nord e Sud, piccoli e grandi artisti. L’operazione Security Danger dei carabinieri di Reggio Emilia a inizio anno ha messo in luce come extracomunitari appena sbarcati venissero impiegati per la sicurezza dei concerti: senza alcun controllo, verifica e tantomeno formazione.
«Io mi ritengo una brava persona, ma di fatto trovai strana l'assenza di controllo. Perché se fossi stato un terrorista avrei potuto fare qualsiasi cosa» ha raccontato un addetto agli uomini dell’Arma. A finire nei guai sono stati un 38enne modenese e un 63enne abitante a Bologna, titolari di due importanti società di sicurezza operanti sul territorio nazionale. I live in questione sono di primo piano: dai Guns n’ Roses (a Imola) ai Depeche Mode (Milano) a David Guetta (Padova) passando per Vasco Rossi (Modena) e Rolling Stones (Lucca).
Extracomunitari appena sbarcati erano impiegati per la sicurezza dei concerti: senza alcun controllo, verifica e tantomeno formazione
Difficile immaginare che gli artisti non sappiano nulla. Nel migliore dei casi, il loro è un colpevole disinteresse. Salvo le scuse di rito quando accade qualche tragedia. Come quella di Trieste nel 2011, quando crollò il palco del concerto di Jovanotti. Morì un ragazzo, 11 rimasero feriti. Francesco Pinna studiava e faceva il facchino per mantenersi all’università. L’ingegnere che aveva progettato la struttura sbagliò i calcoli. Due anni in appello. Il tour si fermò due mesi, poi ripartì. Ricordo di aver pensato che è un miracolo se tragedie del genere non accadono tutti i giorni.