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politica

Da Berlinguer a Enrico Letta: cos'è andato storto

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Sono passati quasi trent’anni dalla relazione di Achille Occhetto al Comitato centrale, il 20 novembre 1989: «Prima viene la cosa e poi il nome. E la cosa è la costruzione in Italia di una nuova forza politica». Dopo tre decenni la “cosa”, l’embrione da lui menzionato, fatica a dirsi qualcosa di più. Quel giorno moriva, de facto, il Partito Comunista Italiano, al quale, complice la mazzata al sistema data da Mani Pulite nel 1992, possiamo guardare come un lontano ricordo. Non è mai un male osservare la storia, se si depongono le armi della nostalgia – quella ideologica - una lacrima è concessa. Aiuta a ricordarsi cosa sia stata la sinistra italiana e cosa sia oggi.

La crisi dei partiti e della sinistra

«Non è un arrivo, ma è finalmente una ripartenza». Avrebbe potuto dirlo Occhetto trent’anni fa, invece, le ha pronunciate, dopo l’ultima fatica elettorale, Nicola Zingaretti, segretario di quel partito che, per continuità politica, avrebbe dovuto essere l'evoluzione della «cosa» abbozzata da Occhetto. Eppure, la sinistra da allora ha collezionato solo ripartenze e (quasi) mai un traguardo. Anche come Partito Democratico, così americano e bipolarista nel nome, fa sorridere nel vederlo oggi, impantanato in un arco costituente continuo e confuso. «I partiti non fanno più politica» disse Enrico Berlinguer ad Eugenio Scalfari ne La questione morale, un piccolo libro/intervista che racconta, vent’anni prima, cosa sarebbe successo vent’anni dopo: la crisi dei partiti. E infatti, i partiti non fanno più politica: raccolgono solo consensi.

Da Silvio Berlusconi a Matteo Renzi

Il primo a capirlo era stato Silvio Berlusconi nel 1994. Al primo giro di lifting, il Berlusconi 1.0 proponeva un’immagine dell’italiano talmente alternativa, da essere presa sul serio. The italian dream, un imprenditore figlio del liberismo degli anni ’80 che, alla faccia dei comunisti, era sceso in politica per liberare gli italiani dall’oppressione statale. La leadership personale aveva sempre avuto un peso politico consistente – tradizione, tra l’altro, tipica della sinistra – ma mai come nella Seconda Repubblica ha potuto vivere svincolata dal contenuto politico. «Noi dichiariamo di essere un partito diverso» continuava Berlinguer, incalzando Scalfaro con le sue perplessità, che però ribatte: «La diversità, a volte ne parlate come foste dei marziani». Questo scambio di battute lascia una domanda in sospeso: chi, oggi, potrebbe sedere al posto di Berlinguer in quella conversazione? Matteo Renzi ha provato ad avvicinare la sua poltrona al tavolo. Il paragone con Berlinguer non regge, sia chiaro, ma per leadership è stato l’unico a unire elettorato e partito alla sua immagine. Con tutto ciò che oggi comporta. Al bivio, arrivando al nocciolo della questione morale e delle scelte politiche, ha però messo la freccia a destra. Dovrebbe far riflettere che il figlioccio di Berlusconi sia stato l’artefice del successo elettorale più importante del Pd dalla sua fondazione. Il Pd però, non è Forza Italia – che sopravvive solo finché campa il suo capo.

Il PD è ormai solo un partito post-populista?

Il Pd ha una storia, a cui dice di rifarsi. E quella storia riempiva le piazze. La Waterloo di Renzi è stata un Referendum che ha lasciato solo macerie nel Partito, quella di Berlinguer è stata la sua morte, accompagnata da un ultimo applauso. Sono differenze approssimative, che sottolineano solo alcuni aspetti e ne tralasciano altri. Non tengono conto dei periodi storici in cui la sinistra è stata al governo, periodi di transizione – dalla lira all’euro –, di precrisi – nel 2007 – e infine di pesante eredità dopo l'austero Governo Monti. Ha prodotto leggi come il Jobs Act in cui, in nome dell’occupazione, ha sacrificato la tutela del lavoro (tanti assunti ma anche tanti licenziati), mancando sempre nell'elaborare una sintesi tra anima liberaldemocratica e socialdemocratica, ancora oggi in lotta fratricida tra loro. Ha dato dimostrazione, in sostanza, di non essere più una forza politica diversa, bensì parte integrante dell’establishment che non ha mai saputo sovvertire. Ha smesso di offrire una chiave di lettura positiva al malcontento, lasciandolo in balia del primo capro espiatorio di turno. E pensare che i capri, un tempo, erano proprio i comunisti.

Quando Berlinguer ci ricordò che i problemi dell'Italia sono sempre i soliti

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