corrida spagna
Gli animali sacrificati nella Corrida, al Palio e a Pamplona
Fernanda Pivano descrisse di una delle più grandi manifestazioni della tradizione spagnola: “La corrida è una tragedia, non è uno sport. Il torero è l’uomo che vive in stretta intimità con la morte, e reca sul viso le tracce di questa intimità. A Hemingway interessa vedere l’uomo unito al toro in un solo corpo nell’istante che decide la morte di uno dei rivali” Le gesta dei matadores, infatti, appassionarono tanto lo scrittore statunitense Hemingway, da spingerlo a scriverci su racconti e romanzi.
E la Corrida, si sa, è un tipo di tauromachia già presente dai tempi dei Greci e dei Romani e che ha mantenuto una certa rilevanza soprattutto in Spagna, Portogallo, Francia e alcuni paesi dell’America latina. Ma è in Spagna dove divenne molto popolare fino a diventare oggigiorno, insieme alla corsa dei tori di Pamplona, uno dei simboli della tradizione del paese. Nonostante sia ancora molto presente nella cultura popolare, soprattutto durante alcune festività specifiche, è sempre stata oggetto di controversie e critiche fin dai tempi dei Borbone in Francia, che la consideravano violenta e poco elegante per essere così celebrata a corte.
La Corrida è uno dei simboli più riconoscibili della Spagna moderna
Ma la Corrida può essere realmente considerata parte della cultura e della tradizione di una nazione come, appunto, la Spagna, o è diventata, piuttosto, una mera manifestazione commerciale? Non c’è dubbio che la Corrida porti con sé una sorta di memoria storica e di tradizione che è intrisa di un certo simbolismo: la lotta dell’uomo contro la bestia, la vittoria di quest’ultimo sulla natura.
Ma non è forse l’uomo anch’esso parte della natura? Cos’è che rappresenta questa lotta? Sicuramente una certa forma di egocentrismo, l’io indistruttibile che l’uomo non riesce a mettere da parte. L’io feroce, selvaggio, che è incarnato dal toro, diventa l’obiettivo da distruggere. Certo è, dunque, che il simbolismo non ha a che vedere soltanto con una percezione artistica della manifestazione, quanto piuttosto con una forma di violenza che sublimare altra violenza affinché la gente si distraesse dai problemi politici ed evitasse di manifestare contro un Impero in decadenza.
Una società può dirsi civile se perpetua tradizioni che infliggono sofferenze su vittime inconsapevoli?
E cosa accade in Italia? Esistono manifestazioni e tradizioni che vedono gli animali come protagonisti? Senz’alcun dubbio il Palio di Siena, che sin dal 1200 rappresenta uno degli eventi di maggiore importanza a livello non solo locale, ma anche nazionale. Una vera e propria “carriera” tra cavalli che ogni anno vede sfidarsi tra loro diverse contrade rimaste luoghi di appartenenza popolare attraverso i secoli.
Così come avviene quotidianamente nelle corride, queste corse non sono immuni da controversie e critiche, dovute soprattutto allo sfruttamento dei cavalli e agli spiacevoli incidenti, come cadute che hanno provocato la successiva morte degli animali, o alle loro condizioni di vita e mantenimento.
Ci si chiede, dunque, se il costo in vite animali sia davvero indispensabile. Una società è da considerarsi civile se prosegue tradizioni passate senza dare importanza allo sfruttamento degli animali per scopi ludici o presunti culturali? Dov’è il limite al quale bisogna appellarsi quando assistiamo ad eventi simili? Cos’è che caratterizza una società come civile se essa stessa non rispetta ogni suo componente?
La spettacolarizzazione della lotta tra uomo e natura è ormai obsoleta, ma potrebbe tornare attuale se continueremo a ignorare i problemi del pianeta
Pensiero legittimo. Ma con o senza Corride, siamo realmente in grado di rispettare ogni singolo componente del nostro ambiente sociale? O la nostra è mera ipocrisia? La spettacolarizzazione di questa lotta è ormai obsoleta, eppure, nonostante i tempi siano cambiati, resta sempre e comunque un’enorme fonte di guadagno da cui è difficile liberarsi. Al di là dell’arte, della cultura e della tradizione.