politica
Il 25 aprile festeggiamo la liberazione dal nazifascismo. Punto e basta
Tutti gli anni la stessa storia: un gruppetto di politici cerca visibilità attaccando il 25 aprile, definendolo un "derby" e suggerendo di trasformarlo nella commemorazione di questa o quell'altra tragedia, tutto purché non si parli di Liberazione dal nazifascismo, un'ideologia dittatoriale che ha oppresso l'Italia e l'Europa per vent'anni, scatenando la peggior guerra della storia.
Non negoziamo sul 25 aprile
La Liberazione non è una celebrazione di parte, nonostante gli sforzi che da tempo una certa parte politica fa per renderla la "festa dei comunisti". Il 25 aprile fu una vittoria ottenuta da tutti: l'Esercito Cobelligerante, le forze armate italiane rimaste fedeli al Re e alla nazione dopo l'8 settembre; il Comitato di Liberazione Nazionale e i suoi partigiani: liberali, democristiani, socialisti e comunisti; infine gli Alleati, che non avrebbero potuto vincere in Italia senza il nostro supporto.
Il 25 aprile iniziò con la proclamazione dell'insurrezione "generale" nei territori occupati, non con un'operazione segreta di alcune milizie comuniste: si sollevò, contro nazisti e fascisti, tutta la resistenza italiana, non una minoranza di partigiani di sinistra. La Festa della Liberazione fu celebrata per la prima volta nel 1946, dallo stesso Re Umberto II, proprio perché il 25 aprile non aveva un carattere partitico, ma nazionale e popolare. Sì, la Liberazione è la festa anche di chi non ci crede.
Usare le vittime contro altre vittime è da vigliacchi
Una certa parte politica critica da anni la Liberazione, dimostrando di non appartenere a quella tradizione di destra, conservatrice, liberale e moderata che dai '90 usa per nascondere la propria natura. Attacca il 25 aprile vigliaccamente, mettendo vittime contro vittime, eroi contro eroi, alimentando una guerra civile che in Italia non si è mai spenta. L'anno scorso fu Matteo Salvini a parlare di "derby" e andando a ricordare le vittime di mafia, provocando la giusta reazione di PIF che gli spiegò: «La storia dei partigiani, di chi ha combattuto il fascismo, somiglia molto a quella di chi ha combattuto la mafia. Allora dire che la festa del 25 Aprile è un ‘derby tra fascisti e comunisti’ ricorda tanto ciò che si diceva negli anni Ottanta sul Maxiprocesso, e cioè che fosse un derby che riguardava la mafia e l’antimafia, un derby fra mafiosi e magistrati».
Quest'anno invece è stato Ignazio La Russa a suggerire di trasformare la Liberazione nella Festa dei caduti in guerra, ignorando bellamente che sia il 25 aprile che il 2 giugno (Festa della Repubblica) e il 4 novembre (Giorno delle forze armate) ricordiamo le nostre vittime di guerra con tanto di cerimonia al monumento del Milite Ignoto a Roma. Oppure di usarla per ricordare le vittime del coronavirus, come se ci fosse bisogno di "revisionare" la Liberazione per farlo: esistono 365 giorni in un anno, onorevole, ne scelga uno che non sia già occupato.
Il revisionismo della Liberazione
Questi continui tentativi di neutralizzare il 25 aprile sono qualcosa di più pericoloso dell'attacco a una festa: le celebrazioni pubbliche sono l'incarnazione della nostra memoria collettiva e cambiarle significa cambiare l'identità stessa della società, ed è questo l'obiettivo finale di chi sbraita contro la Liberazione. La colpa, però, è anche nostra. Siamo responsabili di tollerare gli intolleranti e di esserlo a nostra volta, perché il virus del fascismo, del totalitarismo, serpeggia nel nostro paese da sempre, e non solo tra gli alti ranghi dello stato e delle criminalità, legati all'eversione nera, oppure nelle piazze e nei salotti intellettuali, simpatizzanti di Brigate Rosse e Prima Linea. Basta vedere con che facilità i nostri sindaci hanno cavalcato la retorica della quarantena per assurgere a ruolo di uomo forte, o quanti cittadini si siano lamentati del sacrificio minacciando le più assurde rivolte popolari. Siamo noi che non abbiamo mai voluto un processo di Norimberga, nonostante il famoso Armadio della vergogna a Milano, e che abbiamo tergiversato sulle Foibe per anni, mancando ogni occasione per iniziare una discussione seria sul nostro passato. Siamo sempre noi che rifiutiamo, ogni volta, la destra liberale o la sinistra riformista tacciando l'una e l'altra di sostenere i "poteri forti" e aprendo le porte agli opposti estremismi. La Liberazione ci ricorda che come Italiani, nonostante le divisioni interne, abbiamo tutti rifiutato la dittatura della violenza, della segregazione e della guerra. Chi non ritiene quel momento uno dei più alti e memorabili della nostra storia dovrebbe chiedersi in quale Italia vuol vivere: quella perennemente in guerra con se stessa o quella che si è unita e ha vinto?
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