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Gli studenti stanno tornando a occupare le scuole

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Prima sono scesi in piazza lo scorso 19 novembre, per protestare contro un modello scolastico fatto di carenze strutturali a cui si sono aggiunti provvedimenti punitivi come gli scaglionamenti degli orari e dad. Poi, sempre più istituti hanno deciso di fermare le lezioni e mostrare che, questa volta, nessuno è più disposto a restare con le mani in mano di fronte alle mancate risposte delle istituzioni. Istituzioni come il Ministero dell'Istruzione che proprio in questi giorni ha invitato le scuole, sì, ad ascoltare i ragazzi, ma contemporaneamente a denunciarli per interruzione di pubblico servizio e sgomberarli.

Alle radici della protesta ci sono rabbia e delusione

Sono 26, anzi 27, no, adesso sono 28, forse tra poco 29. Non si riesce a tenere il conto dei licei romani che hanno deciso di occupare. Così tanti non se ne contavano da parecchi anni. «C'è una base di malcontento, rabbia e delusione,» afferma Michele Sicca, della Rete Studenti Medi. «Ci sono rivendicazioni differenti che vanno da quelle politiche sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (P.N.R.R.) e gli investimenti mancati, a quelle meno politiche come la possibilità di fare scuola in presenza e stare di nuovo insieme. Il motivo per cui c'è stata questa nuova ondata è che in tutte le scuole i ragazzi hanno un senso di insoddisfazione non legittimata dalle istituzioni.»

La delusione nasce dal fatto che in molti avevano creduto al “Ne usciremo migliori”, la speranza era che finalmente gli adulti si rendessero conto di quanto sia importante la scuola come palestra di vita, un luogo in cui si impara la storia e la matematica sì, ma anche come relazionarsi con gli altri senza uno schermo a fare da barriera. «Tutti quanti hanno campato pensando che dopo l'enorme sofferenza ci sarebbe stato un momento di grande cambiamento,» continua Sitta, «stringo i denti perché dopo la dad cambia il passo e mi danno ciò di cui ho bisogno, era il pensiero di tutti. Adesso, con le prime bozze della legge di stabilità e del P.N.R.R., è evidente che per due anni nessuno si è occupato della scuola né della salute mentale di chi ha sofferto per tutto questo tempo.»

Dal '68 alla generazione Z, passando per la Pantera

In Italia il Movimento Studentesco fa la sua comparsa negli anni '60, sono gli anni della guerra in Vietnam, della competizione per la conquista dello spazio tra Usa e Urss e della rivoluzione culturale di Mao Zedong nella Repubblica Popolare Cinese. Nel nostro Paese sono gli anni del boom economico e della cultura beat. Gli studenti rivendicavano lo svecchiamento del sistema scolastico improntato all'autoritarismo e la creazione di nuovi spazi di aggregazione. In questo contesto nascono le occupazioni delle scuole e delle università come luoghi in cui sperimentare un modello di istruzione più democratico che consegnasse ai ragazzi un ruolo attivo nello scegliere quali tematiche affrontare e come farlo.

Questa ondata di mobilitazione durerà fino agli anni ’70, l'ultima fiammata sarà il '77 con la contestazione di partiti e sindacati. Dopo il sostanziale tramonto della lotta politica a scuola degli anni '80, negli anni '90 il movimento studentesco universitario della Pantera rimette al centro gli studenti che adesso utilizzano la tecnologia, come le radio libere, per creare una rete studentesca che si oppone alla riforma dell'allora ministro Ruberti. Una riforma improntata a introdurre l'autonomia finanziaria e statutaria nelle università. Ma il contesto che ha investito la Generazione Z non ha precedenti.

La pandemia ha imposto l'azzeramento della socialità a milioni di ragazzi. Nessuna generazione di studenti aveva dovuto misurarsi prima con provvedimenti come la didattica a distanza e un ritorno in classe fatto di scaglionamenti e misure anti contagio che, di fatto, continuano a ridurre gli spazi di socialità di ragazzi stremati da due anni di isolamento.

«Stiamo immaginando una società per anziani e non per giovani, questo è un problema»

«Siamo di fronte a qualcosa di nuovo, perché l'ondata di politicizzazione giovanile era già avvenuta con le piazze femministe e si vede in quelle ambientaliste, sul P.N.R.R. gli studenti vogliono mettere bocca». Christian Raimo, scrittore, insegnante e giornalista, dal suo osservatorio privilegiato di docente esamina i punti di forza e di debolezza di questo movimento nascente: «Nel '68 la generazione dei baby boomers vedeva un conflitto tra una marea che chiedeva diritti e una minoranza che voleva conservare alcuni privilegi, oggi invece numericamente i giovani sono meno degli anziani».

«Il 68 è stato un momento molto forte di liberazione messa in discussione di alcuni modelli autoritari,» continua Raimo, «oggi di questo c'è un bisogno enorme». Le battaglie femministe e ambientaliste sono portatrici di un nuovo modello di relazione che è però indebolito dal numero delle persone che ne fanno parte e che non hanno voce in capitolo sul tipo di società che vogliamo costruire «Stiamo immaginando una società per anziani e non per giovani, questo è un problema».

Secondo Raimo per migliorare la situazione bisognerebbe aprire il dibattito pubblico e istituzionale: «Bisognerebbe provare a coinvolgere nella discussione sul P.N.R.R. non soltanto i tecnici ma anche i ragazzi, i docenti. Sulla riforma della scuola ci sono diversi miliardi in ballo, è chiaro che la discussione dovrebbe tenere conto anche delle idee dei ragazzi. Invece c'è una mancata conoscenza dei bisogni degli studenti».

Adesso bisogna parlare di salute mentale

«Questo è un tema fondamentale perché i giovani hanno subito più di tutti la carenza di una struttura di supporto.» Michele Sitta non ha dubbi sul fatto che questo sia il tema dei temi: «Ci sta pure che le scuole non fossero attrezzate ad accogliere chi ha subìto un trauma per via della pandemia, ma dopo due anni gli psicologi a scuola ancora non ci sono e nessuno parla di salute mentale.» Il liceo Cavour ha organizzato un incontro su questo tema con la madre di Cranio Randagio, rapper romano, ex studente del Cavour, morto di overdose nel 2016, a soli 21 anni, per ragioni riconducibili alla mancata cura della salute mentale. «È stato impressionante vedere 100 persone in aula magna che simultaneamente hanno iniziato a piangere ascoltando le parole di questa mamma che diceva: “adesso bisogna parlare di salute mentale”», continua Sitta, «era probabilmente la prima volta che vedevano riconosciuta a scuola, da una persona adulta, la gravità della situazione».

E che di situazione gravissima si tratti lo ha ricordato Stefano Vicari, primario di Neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma, che ad aprile del 2021 ha rivelato l'aumento del 30% dei ricoveri per disturbi psichiatrici in bambini e adolescenti causati dalla pandemia. Un'emergenza che ha spinto il primario a proporre l'istituzione di un Piano per l'infanzia e l'adolescenza.

Chiediamo una scuola che non riempia le menti, ma che le formi

L'occupazione, i ragazzi ci tengono a sottolineare, non è fatta solo di incontri e socialità ma ha un peso specifico anche la riqualifica degli spazi comuni, mentre spesso li si accusa proprio di abusare di quei luoghi. «È una cosa importante da fare capire. Anche io pensavo all'inizio che l'occupazione fosse finalizzata solo a saltare la scuola e non fare nulla, invece per tutti è importante riprendersi la vita scolastica e riqualificare le aule», ci racconta Emanuele Santoni, del liceo Cavour. «È questo l'insegnamento che dovrebbe darci la scuola; come vivere una vita comunitaria e prendersi cura di tutti, compreso del posto che si occupa».

«Noi riteniamo che la scuola debba avere il ruolo di agente sociale che sia in grado di formare gli studenti in maniera critica, con l’obiettivo che gli studenti siano dei soggetti attivi all’interno della società. Chiediamo infatti una scuola che non riempia le menti, ma che le formi,» recita il Comunicato stilato dagli occupanti del liceo Avogadro. «Il ritorno alla vita scolastica è stato molto disagevole per via degli scaglionamenti. Nella nostra scuola triennio e biennio devono entrare con 1 ora e 40 di distanza», raccontano Andrea Ricci e Matteo Lucchesi, del liceo di via Brenta, «la nostra preside è stata comprensiva e ci ha concesso di ridurre l'orario di uscita, 20 minuti per chi esce alla quinta ora e 30 minuti per chi esce alla sesta. Ma abbiamo comunque deciso di occupare perché l'85% degli studenti in assemblea straordinaria ha ritenuto necessaria questo tipo di mobilitazione».

Il punto, sostengono gli studenti, è che la scuola dovrebbe essere rimodellata per venire incontro alle esigenze dei ragazzi, mentre sono sempre gli studenti a essere costretti ad adattarsi alle regole degli istituti.

Cosa chiedono gli studenti che hanno occupato il liceo Cavour di Roma

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