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Lo studente italiano scampato alle proteste di Hong Kong
Matteo Scarpa, 23 anni, studente di Economia dell'Università Liuc di Castellanza, è tra i pochi italiani ad aver sentito il vento di resistenza che soffia sui cartelli dei partecipanti alle proteste di Hong Kong. Costretto ad abbandonare in fretta e furia la Chinese University, dove era ospite di un programma di scambio, è stato testimone dell’assedio del campus da parte della polizia, che ha utilizzato contro i manifestanti proiettili di gomma e lacrimogeni.
Matteo ha dichiarato che «i manifestanti hongkongers si sono sempre comportati benissimo con noi internazionali. Anzi, vedendoci scappare ci hanno fermato per chiederci scusa per quello che stavano facendo, spiegandoci che stavano lottando per la loro libertà». «Quando la polizia si ritirava, lo scenario era quello di una guerra, di un campo di battaglia. Marciapiedi distrutti per usarne i mattoni, resti di bottiglie e molotov per terra, caschi e maschere antigas ovunque». Poi il rimpatrio e la notizia della vittoria dei democratici alle elezioni.
La storia di Matteo a Hong Kong
Matteo arriva alla Chinese University il 20 agosto. Racconta che all’epoca «le proteste erano molto circoscritte e pacifiche, tanto che la Chinese University ci aveva assicurato che non ci sarebbero stati problemi». Ma poi la situazione degenera, fino ad arrivare agli scontri nei campus. Alla Chinese University ci sono 20mila studenti e «protestavano tutti, anche i nostri vicini di camera. I ragazzi protestano per motivi nobili, vogliono la libertà e l'indipendenza dalla Cina».
«La polizia ha cercato di sopprimere le manifestazioni in maniera violenta. Dal tetto - spiega - vedevamo il ponte e le strade andare a fuoco. Non siamo mai stati realmente in serio pericolo, ma avevamo paura perché il problema era uscire da lì. Tutte le uscite erano bloccate dai manifestanti e fuori c'era la polizia: ci sentivamo in gabbia».
Perché a Hong Kong si protesta?
Tutto è cominciato con l’opposizione a una controversa legge sulle estradizioni in Cina dei sospetti criminali. Per i partecipanti alle manifestazioni si tratta di una grave ingerenza di Pechino nel sistema giuridico di Hong Kong. Il rischio, infatti, è che il governo cinese possa utilizzare la legge per estradare anche i dissidenti politici. Ex-colonia britannica, la regione gode infatti di uno statuto speciale rispetto alla Cina continentale soprattutto in materia di diritti e libertà.
Le manifestazioni contro la legge sull’estradizione sono le più imponenti dal 2014, quando i cittadini di Hong Kong scesero in piazza contro la decisione del Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di Pechino di riformare il sistema elettorale di Hong Kong, che avrebbe comportato una "preselezione" dei candidati alla leadership di Hong Kong da parte del Partito Comunista Cinese (Pcc).
Le elezioni dopo la protesta a Hong Kong
Il voto di domenica per i distretti si è concluso con un’affluenza record e la vittoria schiacciante dei democratici, che si aggiudicano il 90% dei seggi. Un tifone giallo, il colore dei manifestanti, che ha scosso Pechino e la sua stampella, la governatrice Carrie Lam che ha assicurato che il governo di Hong Kong ascolterà «certamente con umiltà le opinioni dei cittadini e rifletterà su di loro con serietà».
Ma intanto Pechino annuncia che Hong Kong è parte integrante della Cina e punta il dito contro presunte ingerenze straniere, lasciando intendere a chiare lettere che la partita è tutt’altro che conclusa. E si giocherà a partire dalle aule dei tribunali, dove saranno convocati le centinaia di manifestanti arrestati in questi mesi.