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Storie di parlamenti sotto attacco. Il futuro precario della democrazia
È di 4 morti e 52 arresti, il bilancio surreale dell’attacco “trumper” a Capitol Hill, avvenuto ieri durante la sessione del Congresso per ratificare la vittoria di Joe Biden alle elezioni di Novembre. Un assedio alla più antica istituzione americana che ha scioccato il mondo e fotografato tragicamente lo stato della democrazia americana, vittima da anni di un progressivo estremismo dai risvolti violenti. In questo primo scorcio di secolo abbiamo visto altri parlamenti e altre folle inferocite assaltare le istituzioni, ma quello che è successo a Washington il 6 gennaio 2021 ha caratteristiche uniche. E più legami col futuro che col passato.
L’attacco a Capitol Hill
«Non concederemo la vittoria, non ci arrenderemo mai», con queste parole Donald Trump ha incendiato la folla di fan che da anni lo vede “salvatore”, non solo dell’America ma del mondo intero. Mentre il Congresso ratificava la vittoria di Joe Biden, avvenuta con uno scarto di 70 grandi elettori e oltre 7 milioni di voti, Trump incitava la folla da The Ellipse, il giardino della Casa Bianca. I sostenitori di The Donald hanno marciato su Capitol Hill, superando facilmente le deboli barriere della polizia (che non si aspettava un assalto vero e proprio), gridando slogan come “Fight for Trump” e “Stop the Steal” (Fermiamo il furto). È iniziato così l’assedio al Congresso, seguito poi dai tentativi di irruzione. Gli agenti di sicurezza sono stati costretti, per la prima volta nella storia, a impugnare le armi a Capitol Hill e a scortare i parlamentari al sicuro. Il caos è durato per ore, poi un pesante coprifuoco è calato su Washington. Trump ha pubblicato un video per calmare gli animi, giustificando, però, le azioni dei suoi supporter. Il video è stato oscurato da YouTube e tutti i canali social dell’ex-Presidente sono stati bloccati. Quando la seduta del Congresso è ripresa Mike Pence, vice di Trump, ha dichiarato: «È un giorno buio nella storia del Paese», rimarcando il suo distanziamento dall’ex-Presidente. Una giornata sintomo di una democrazia in bilico, che avvicina gli USA ad altri stati del recente passato.
Il Parlamento sotto attacco: dall’Asia all’America
È passato circa un mese dall’ultima invasione di un Parlamento da parte della folla. Il 10 novembre 2020, infatti, il premier Nikol Pachinian si è trovato a dover spiegare al popolo armeno come mai, dopo anni di odio fomentato dal nazionalismo, avesse accettato il cessate il fuoco con l’Azerbaijan (e la Turchia). Un accordo che poneva fine a un massacro ma che la folla della capitale non ha affatto gradito. Riversatasi in piazza, ha, prima, assaltato la sede del governo in cerca di Pachinian, e poi il Parlamento, devastandolo. La polizia ha rapidamente ripreso il controllo della situazione. Un attacco spontaneo e disarmato, non molto diverso da quello avvenuto ad Asunciòn nell’aprile del 2017. Un gruppo di manifestanti invase, allora, la sede del Parlamento per bloccare un progetto di riforma costituzionale bipartisan che avrebbe permesso la rielezione dei presidenti Horacio Cartes (centrodestra) e Fernando Lugo (centrosinistra). Le unità antisommossa a cavallo del Paraguay intervennero con cariche, idranti e fucili a pallettoni per disperdere la folla che riuscì, però, ad appiccare un incendio. In entrambi questi casi la folla era disarmata e l’azione più che altro dimostrativa. Eventi che rispecchiano un po’ il grande precedente della Rivoluzione Francese, quando la folla dei sobborghi di Parigi invase le Tuileries per ingiuriare e minacciare il Re. Diversi, quindi, dagli attacchi mirati al potere, spesso armati, come quello terroristico di New Delhi del 2001 dove morirono 6 attentatori, o il mancato Golpe Borghese in Italia del 1970, che questo dicembre compiva 50 anni.
Perché il caso americano è unico
Ma la situazione creatasi a Washington è senza precedenti per almeno tre motivi. Prima di tutto, l’assalto all’istituzione parlamentare è avvenuto in una democrazia sviluppata e solida, almeno all’apparenza. Inoltre, l’attacco è stato un ibrido tra l’assalto della folla e un’operazione armata, a causa sia della diffusione delle armi da fuoco tipica degli USA, che del possibile coinvolgimento di gruppi di estrema destra e complottisti, come i Proud Boys, nell’assedio. Terzo, ma non meno importante, il legame strettissimo tra l’ecosistema dei social network e la deriva sempre più violenta dei movimenti pro-Trump. Deriva che l’ex-Presidente continua a cavalcare e a spingere sempre più in là testando, involontariamente, la tenuta della democrazia rappresentativa americana. Non è un caso, infatti, che proprio i canali social di Trump siano stati bloccati e che il suo video, pubblicato poco dopo l’assalto, sia stato oscurato. L’attacco a Capitol Hill non è solo l’ultimo colpo di coda di un uomo di potere da sempre problematico: è anche una pericolosa finestra sul futuro della politica internazionale, sempre più polarizzata e manipolabile. Sempre più debole.
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