coronavirus
Sono fuggita nella zona rossa del coronavirus
Sabato 7 marzo 2020: non appena si diffonde la notizia dell’ordinanza che chiude mezzo nord Italia causa coronavirus, si scatena il panico. Mentre migliaia di persone fuggivano da Milano verso il sud Italia, io ho fatto il contrario: ho abbandonato Roma per tornare in provincia di Venezia. Questo è il diario della mia fuga notturna fino al cuore della zona rossa.
Un sabato diverso dagli altri
21.05: leggo notizie sulla probabile chiusura delle province di Venezia e Padova ma non ci do troppo peso. Ti pare che proclamano l'intero Veneto zona rossa, dico a mia madre al telefono. Le confido le mie preoccupazioni per la discussione della tesi, lo stage appena iniziato ma soprattutto per la terapia che devo fare a fine mese a Padova. Una cosa importante, imprescindibile, che non può saltare o essere chiusa fuori da una zona rossa. 21.51: la richiamo. Non ho la certezza che il decreto sarà firmato, ma ho le date: dall'otto marzo al 3 aprile.
Ho la terapia il 30. Non posso aspettare. Programmo al telefono con lei la mia fuga da Roma e la metto in atto. In dieci minuti preparo uno zaino di fortuna e una valigia. Appena viene a prendermi il mio ragazzo gli dico ridendo «Sai che stai dando asilo a una fuggitiva?». Termini è stranamente deserta: verrà presa d’assalto ore dopo, dalle migliaia di persone in fuga da Milano che vedrò nei video amatoriali.
Un amaro arrivederci
22.38: la receptionist in stazione mi dice che i treni sono acquistabili anche per domani, ma che non mi danno alcuna garanzia che partiranno. Inizio a spaventarmi. Quindi è reale? Partire o restare? L'ultimo treno garantito è alle 23 ed è già al binario. Il mio ragazzo mi urla di passare avanti alla gente in fila. La receptionist mi spiega nuovamente orari e cambio del treno. La ascolto ma non credo di aver capito: mi pare tutto surreale.
Col biglietto in mano corriamo, verso quel binario con l'ultimo treno per la zona rossa. Corriamo come due rapinatori in fuga. Lo guardo, gli sorrido e dico «Un po' ti stai divertendo, eh?» Sorride. Quant'è bello, penso. I varchi sono chiusi tranne uno, una luce verde nell'infinità di scritte rosse. Salgo e mi volto indietro: lui mi guarda con occhi tristi e rubo tre baci, a lui e al tempo. Ci diciamo quello che si dicono gli innamorati al momento di separarsi. Prima piange lui, io mi dico di essere forte e poi piango anche io. Un ultimo bacio, tre d'amore, prima che le porte si chiudano.
Un viaggio surreale
23:05: il mio posto è vicino a due ragazzi palermitani, troppo rumorosi. Attorno a me solo giovani, alcuni con la mascherina, ma con i piedi sui sedili. Il sonno non arriva, allora guardo video sul telefono: vedo gli assalti alla stazione di Milano, gente che fugge in taxi a Roma, ne parlo col mio ragazzo, insonne come me. Quella notte molti rimarranno svegli, non mi sentirò abbandonata. 05:30: arrivati a Verona, attendiamo il cambio per Venezia Mestre. In attesa davanti al bar della stazione, come sentinelle minacciose. 06:34: parto da Verona, il sonno inizia a farsi sentire: prostrata, mi sdraio sui sedili e mi arrendo ad appoggiarci le scarpe.
09:15: non credevo che ce l’avrei fatta, ma sono nel mio letto. Penso a chi ora è a Napoli, Roma, Palermo e si sente libero. Io ora sono in zona rossa: dovrò firmare un modulo per muovermi, anche se il mio unico spostamento sarà verso l’ospedale di Padova. Mi metteranno in quarantena, mi obbligheranno a mettere la mascherina. Ma è giusto così. Prima di cedere a un sonno agitato mando un selfie al mio ragazzo: questa è la faccia di chi ha fatto dieci ore di viaggio per tornare nella zona rossa. Sei bellissima, risponde: o mente, o ha capito che non bisogna far arrabbiare una ragazza che non ha dormito.
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