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Primo Carnera, la montagna che migrò in America
Malgrado le strumentalizzazioni di cui fu oggetto, Primo Carnera, campione del mondo dei pesi massimi, fu un personaggio tutt’altro che superficiale: dotato di rara sensibilità, appassionato di poesia e sempre pronto a dar sfoggio di tutta la sua fragilità, il pugile italiano era ben lontano dall’immagine del maschiaccio virile, violento e letale che il sistema mediatico statunitense e la propaganda del Minculpop tentarono di cucirgli addosso.
La carriera di Primo Carnera
Nonostante la stazza gigantesca (due metri per ben 125 kg di peso, in un periodo in cui, in Italia, l’altezza dell’uomo medio si attestava sul metro e sessanta o poco più), Primo Carnera non pensava di dedicarsi alla boxe agonistica: sognava di aprire una falegnameria, di dedicarsi ad una vita semplice, agreste e senza troppe pretese. L’idea di instradarsi sulla via del pugilato arrivò soltanto quando decise di lasciare Sequals, il suo paese natio del Friuli, per trasferirsi in Francia da suo zio.
Iniziò a lavorare nell’impresa di costruzioni dello zio e, successivamente, in un circo, dove fu ingaggiato come fenomeno da baraccone data la sua mole gigantesca. Fu proprio durante l’esperienza circense che Primo scoprì il suo mentore, Paul Journée, pugile mediocre ma dall’occhio acuto che lo presentò a Léon Sée, il “vecchio volpone”. Fu la svolta della sua vita.
Carnera sbarca in America all'inizio del 1930 e, grazie agli agganci di Léon, in meno di un anno combatte ventiquattro volte riportando ventitré vittorie, di cui diciannove per K.O. e una sola sconfitta, peraltro in un incontro la cui regolarità lasciò molti dubbi. Il 10 febbraio del 1933, presso il Madison Square Garden di New York City, Primo e il campione della US Navy, Ernie Schaaf, incrociano i guantoni nel tempio della boxe mondiale. La posta in palio è altissima: il vincitore affronterà il campione del mondo in carica, Jack Sharkey.
Il Duce elesse Primo Carnera a simbolo dell’italiano virile
Eppure, proprio in quella nazione stanca, sfinita e disillusa, quella sera stava per essere scritto il primo capitolo di un’epopea straordinaria: alla 13ma ripresa, Carnera costringe Schaaf al K.O. e vince l’incontro. Un pugno letale: Schaaf entra in coma a causa delle percosse subite e, solamente tre giorni dopo, perde la vita nel giorno di San Valentino, stroncato da un’emorragia cerebrale.
La stampa americana coglie la palla al balzo e non perde neppure un secondo per azionare la macchina del fango: “Il titano dal destro che uccide!”, “Il gigante assassino” e tutta una serie di altri appellativi volti a disumanizzare Carnera, raffigurandolo come un serial killer prestato al pugilato, cominciano a diffondersi a macchia d’olio. In tal modo, la “fabbrica dei mostri” ha buon gioco nel posizionare l’ennesimo prodotto sul mercato: ladies and gentlemen, ecco a voi Primo Carnera, il malvagio sicario della boxe.
Il 29 giugno 1933, al Madison Square Garden, Primo Carnera sconfisse Jack Sharkey
La morte di Schaaf ha un impatto devastante sulla tenuta psicologica di Primo: i sensi di colpa lo logorano, le notti in bianco proliferano e la prospettiva di un ritiro dal professionismo diventa sempre più realistica. Tuttavia la madre di Ernie, la signora Lucy, lo scagiona, sollevandolo da ogni responsabilità e intimandogli di continuare.
Il 29 giugno dello stesso anno, a Long Island, in sole 5 riprese, Primo Carnera si sbarazza di Jack Sharkey e viene proclamato campione del mondo di boxe. Carnera diventa un profeta in patria e la sua forza fisica viene sfruttata in chiave propagandistica: il Duce esalta il machismo di quel talento friulano giunto oltreoceano, a suo dire, per fornire al mondo una dimostrazione concreta della virilità italiana. Almeno fino al fatidico Primo Carnera vs Max Baer.
Primo Carnera vs Max Baer segnò una svolta nella carriera del pugile italiano
La storia di Carnera, un gigante bonariamente ingenuo e perennemente sfruttato, non è soltanto la storia di un migrante italiano che, attraverso il sudore della fronte, riesce a conquistare il proprio posto nel mondo, ma anche l’esempio di come sia semplice trasformare un essere umano in un mostro mediatico e in uno strumento di propaganda.
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