sport
'Crazy for Football', la vera storia della nazionale di calcio di pazienti psichiatrici
Il film tv "Crazy for Football", andato in onda su RaiUno lo scorso lunedì, ha vinto la battaglia dello share conquistando oltre 3 milioni di spettatori e superando il Grande Fratello Vip, inaffondabile mostro a tre teste dei reality show nostrani. "Crazy for Football – Matti per il calcio", firmato dal regista Volfango De Biasi (che cinque anni fa aveva realizzato già un documentario sullo stesso soggetto) è la storia della nazionale di calcio di pazienti psichiatrici messa insieme, con spirito d’avventura, da Santo Rullo, psichiatra.
La storia di Crazy for football e il valore terapeutico dello sport
Nel film di De Biasi la storia si intreccia con i problemi familiari del dottore e dei suoi pazienti. Rullo, interpretato da Sergio Castellitto, segue gli insegnamenti di Franco Basaglia, ed è contro i metodi contenitivi impiegati in mancanza di una diversa e più umana strategia. La sua idea fissa – che finisce per metterlo in cattiva luce con i dirigenti sanitari – è quella di organizzare un mondiale di calcetto per squadre formate da pazienti psichiatrici, spinto dalla convinzione nella funzione terapeutica dello sport in generale e del calcio in particolare. Riesce a formare una squadra con ragazzi affetti da disturbi mentali (schizofrenici e bipolari, fra gli altri) e, sfidando anche le istituzioni mediche, a organizzare il mondiale.
Con il passare dei giorni i ragazzi legano fra loro, cominciano ad aprirsi e a raccontarsi le loro vite, trascorrono tempo insieme condividendo un obiettivo comune. La terapia funziona, anche se con qualche imprevisto che mette in cattiva luce le idee di Rullo – emblematica la vicenda di Fabione, schizofrenico e violento paziente interpretato dal bravissimo Lorenzo Renzi, che si rende protagonista di una fuga dall’albergo e di un’aggressione in un bar. Lo psichiatra è costretto a difendere le proprie idee: «Dobbiamo dire ai ragazzi “Non vi innamorate perché l’amore prima o poi finisce?”», chiede Rullo alla commissione disciplinare che sta giudicando il suo operato, per sottolineare quanto l’essere una squadra stia facendo vivere ai pazienti esperienze del tutto nuove e benefiche.
La terapia sportiva
Che l’attività sportiva abbia positivi risvolti psicologici è ormai un fatto scientificamente accertato. Tra tutte le attività del tempo libero, quella fisica fornisce il miglior effetto antidepressivo, come rilevava già negli anni ‘90 Bob Singer, studioso che contribuì enormemente alla diffusione della psicologia dello sport. Come sottolinea l’ISSP (International Society of Sport Psychology), l’attività fisica ha effetti positivi sull’autostima, che si possono riverberare su ipertensione, osteoporosi, diabete e disturbi dell’umore, alleviandoli.
In Italia diecimila tra atleti, dirigenti, allenatori e semplici cittadini stanno chiedendo che venga data maggiore dignità alla terapia sportiva. Tra questi c’è proprio Santo Rullo, uno dei primi firmatari del Manifesto “Sportivi: l’Italia che si muove”. «Lo sport, la cultura del movimento, come dimostrato dalla letteratura scientifica è uno dei principali generatori di risparmio al Servizio Sanitario Nazionale, in termini di prevenzione e di controllo di altre patologie pandemiche, come la sedentarietà, la depressione, l’obesità (un terzo delle persone fortemente sovrappeso/obese sono minori), il diabete, le patologie cardiovascolari», si legge nel Manifesto. «Tanto le società sportive quanto i gestori dei luoghi dello sport […] chiedono azioni di sviluppo, non di mera assistenza,» prosegue il Manifesto introducendo le tredici richieste rivolte al Governo.
Le conquiste della legge Basaglia
Se in Italia non esistono più manicomi lo dobbiamo a Franco Basaglia, rivoluzionario psichiatra, ispiratore della legge 180. Eppure proprio nella “sua” Trieste, città che venne indicata come zona pilota per la ricerca relativa ai servizi di salute mentale, sembra che si stia facendo qualche passo indietro. Un concorso pubblico per la carica di direttore del Centro di salute mentale avvenuto a maggio ha infatti scatenato le proteste di alcuni dirigenti medici, perché la graduatoria finale ha “in modo singolare” preferito i candidati anti-basagliani a quelli che invece adoperano il metodo Basaglia (che pure sembravano avere un punteggio più elevato).
Una discontinuità con il passato netta, un approccio di segno opposto al metodo che osservatori mondiali hanno elogiato e che ha portato l’Italia ad avere uno dei sistemi di gestione della salute mentale più evoluti al mondo. A lanciare l’allarme è anche la figlia, Alberta Basaglia: «Stanno uccidendo l’eredità di mio padre. Quando saranno distrutti gli ultimi baluardi che dimostrano l’efficacia della riforma Basaglia, sarà più facile rinnegare la sua rivoluzione culturale», spiega. «Quello basagliano fu un rovesciamento che ha lasciato un segno. Ed è con questa realtà che molte istituzioni sociali e politiche non vogliono fare i conti: accettare che la società sia composta da persone diverse. E che le persone psichicamente fragili debbano farne parte».
Segui VD su Instagram.