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Perché dovrebbe importarci degli Uiguri
Ll’ambasciatore di Pechino a Londra Liu Xiaoming, alla BBC, ha negato la repressione sugli uiguri. «Gli abitanti dello Xinjiang vivono una vita molto felice. La Cina è fermamente contro la tortura. Ogni gruppo etnico ha pieni diritti». Eppure un’inchiesta dell’Associated Press mostra come la Cina, in un’ottica di controllo della popolazione uigura, abbia costretto migliaia di donne a interrompere la gravidanza o a usare contraccettivi. Una persecuzione contro la minoranza turcofona della regione nord occidentale che è andata intensificandosi a partire dal 2016 e che ha visto circa un milione di persone rinchiuso nei campi di “rieducazione”.
Chi sono gli uiguri
Gli uiguri sono una minoranza musulmana di etnia turcofona che risiede principalmente nello Xinjiang, Regione autonoma dal 1955. Uno statuto che dovrebbe garantire un maggiore margine di manovra rispetto alle altre province cinesi. A partire dal 2001, con il crollo delle Torri Gemelle, si sono intensificate le attività di repressione da parte del governo cinese. La maggior parte delle popolazioni uigure si è rifugiata proprio in Turchia, tra i pochi Paesi musulmani ad aver condannato le politiche di Pechino. Con la scusa della lotta al terrorismo, il governo ha infatti avviato una campagna di repressione, tanto che nella Regione si conta, secondo il Chinese Human Rights Defenders, il 20% degli arresti del Paese. Non solo. Pechino ha avviato una campagna di colonizzazione che ha messo gli uiguri in minoranza anche nella loro Regione, spingendoli sulla strada del terrorismo.
La soluzione finale
Nel novembre del 2019, il New York Times ha pubblicato gli Xinjiang Papers, 403 pagine di documenti interni che descrivono la stretta sulla minoranza musulmana del Paese, tra cui gli uiguri, tra campi di “rieducazione” e deportazioni di massa: la più estesa campagna di internamento dall’epoca maoista. Alla base delle persecuzioni diverse motivazioni. Al PCC di certo non piace la religione, ancor meno se una piccola porzione di uiguri ha dimostrato simpatie per Al Qaʽeda. Ma affiancare l’intera popolazione uigura al terrorismo rischia di spingere Pechino in un vicolo cieco: per il PCC è infatti terrorismo ogni forma di critica al governo e ogni attività che mira all’indipendenza o alla vera autonomia della Regione. Da qui è presto detto: la persecuzione degli uiguri non è - solo - dettata da motivazioni di “stabilità e sicurezza”, ma anche e soprattutto da ragioni politiche. Pur costituendo lo 0.6% della popolazione nazionale, gli uiguri sono il 46% nel ricco Xinjiang. Un ostacolo per il governo cinese che vede nella Regione, attraversata da ben cinque corridoi economici, un tassello fondamentale per la sua politica estera. La soluzione finale? L’eliminazione della minoranza uigura, un impaccio per le mire espansionistiche interne ed esterne di Pechino.
Perché dovrebbe importarci degli uiguri
Telecamere a riconoscimento facciale, prelievo di DNA per una maggiore tracciabilità, sterilizzazione forzata: il futuro alla Black Mirror si scrive proprio nello Xinjiang, ai confini di quella che secondo la rivista The Lancet sarà l’economia trainante del pianeta entro il 2035. Qualcosa di ben più grosso di una macchia per un Paese che rivendica il suo posto nel mondo e si prepara a sostituire gli Stati Uniti nello scacchiere globale. E noi? Stavolta non potremo più dire che non sapevamo: ci sono i report dei giornalisti, le testimonianze di chi è riuscito a scappare e perfino un video su TikTok, in cui una giovane americana ha denunciato le persecuzioni subite dagli uiguri in Cina, camuffandolo da tutorial make-up. Eppure per Pechino, la repressione nello Xinjiang si sta rivelando mediaticamente scomoda, soprattutto oggi che il Dragone mira a imporsi culturalmente ancor prima che economicamente. Anche se, a differenza del vecchio impero Usa, non ha nessuna intenzione di darci lezioni di (presunta) moralità.
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