coronavirus
Molti paesi stanno usando il coronavirus per negare diritti fondamentali
Da una parte la “guerra al coronavirus”, “il nemico invisibile”, “gli eroi”, “la trincea”, dall’altra una quarantena che, in molti Paesi, da misura sanitaria finisce per assumere una dimensione punitiva. Sars-CoV-2 non solo ci ha abituato a toni da propaganda bellica ma, come in ogni guerra che si rispetti, riserva alle libertà fondamentali un posto in seconda fila. E così, mentre siamo distratti dai numeri dei bollettini e dai flashmob sui terrazzi, per alcuni governi, il coronavirus rappresenta una ghiotta scusa per far passare con una mano provvedimenti che contrastino la diffusione del virus e, con l’altra, misure sempre più repressive.
1. Ungheria
Lo scorso 30 marzo, il primo ministro Viktor Orban, al governo da dieci anni, ha ottenuto pieni poteri per combattere la pandemia di coronavirus, estromettendo il parlamento da ogni decisione. Nei termini della legge, passata con 137 voti a favore e 53 contrari, Orban potrà governare sulla base di decreti, fino alla fine dell’emergenza coronavirus, per la quale non sono stati fissati limiti temporali, in un Paese dove finora le vittime di COVID-19 sono meno di duecento. Tra le sue facoltà, anche quella di poter chiudere il parlamento, cambiare o sospendere leggi esistenti e la possibilità di bloccare elezioni e referendum. Saranno inoltre accettate solo informazioni provenienti da fonti ufficiali sulla pandemia: per le fake news è prevista la reclusione fino a cinque anni, una sentenza di morte per la stampa indipendente.
2. Polonia
Il Paese approfitta del coronavirus per rendere l’aborto quasi impossibile. In piena emergenza sanitaria, il parlamento, dominato dagli ultra conservatori del PiS, approfitta del caos COVID-19 per infliggere un colpo mortale ai diritti delle donne. La proposta di legge vorrebbe eliminare la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza per malformazione e malattie genetiche del feto, consentendo l’aborto solo nei casi di incesto, stupro o di grave pericolo per la salute della madre. Non solo. È stata presentata anche un’altra proposta di legge, che renderebbe illegale l’insegnamento dell’educazione sessuale e vieterebbe ai medici di fornire cure contraccettive ai minori di diciotto anni. Al momento, grazie a una mobilitazione senza precedenti da parte delle femministe, che hanno protestato mantenendo la distanza di sicurezza, ogni decisione è rinviata, ma la soglia di guardia resta alta.
3. Gli USA
Con la pandemia in atto, in Texas e Ohio l’aborto diventa “non necessario”, a meno di gravi rischi per la salute della madre. Ken Paxton, procuratore generale del Texas, ha fatto sapere che i medici che praticano l’interruzione volontaria di gravidanza sono soggetti a un ordine esecutivo che prevede che siano rimandati tutte le procedure che non siano immediatamente necessarie dal punto di vista medico. Ma l’aborto richiede tempistiche ben precise e rimandare significa di fatto rendere impossibile l’accesso a questo servizio, finendo per pesare sui diritti delle donne.
4. Slovenia
La Slovenia guarda all’Ungheria di Orban, approvando a inizio aprile una serie di norme che garantiscono poteri speciali al governo di Janez Janša con la scusa di fronteggiare l’emergenza coronavirus, aggirando opposizioni e parlamento. Il neo-premier ha anche sostituito tutti i dirigenti con fedelissimi, facendo tabula rasa delle voci di dissenso. Un pericoloso tentativo di emulazione dell’omologo ungherese che rischia di travolgere diritti e libertà fondamentali.
5. Italia
Passata in secondo piano con l’emergenza coronavirus è la chiusura dei porti alle Ong che battono bandiera straniera e che soccorrono i migranti al di fuori della zona SAR (search and rescue) italiana. Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti aveva confermato l’impossibilità di garantire porti sicuri a navi battenti bandiera straniera. «A causa dell’emergenza pandemica COVID-19, i porti non presentano più i requisiti sanitari richiesti dalla convenzione di Amburgo», si legge nel decreto interministeriale firmato dalla ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e dal ministro della Sanità Roberto Speranza. Ma nel frattempo si continua a morire in mare, tra discriminazioni e diritti negati che difficilmente scompariranno alla fine dell’emergenza sanitaria.
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