sex work
«L'Italia dovrebbe riconoscere le sex worker. Ma il dibattito è in mano ai preti»
Sono sette i paesi europei nei quali la prostituzione è legalizzata e regolamentata: Germania, Paesi Bassi, Austria, Svizzera, Grecia (la legge risale al 1999), Ungheria e Lettonia. A questi potrebbe aggiungersi anche il Belgio, che sta studiando un nuovo statuto. Secondo il ministro belga la legalizzazione arginerebbe la tratta di esseri umani e renderebbe regolari migliaia di lavoratrici. In Italia, invece, la prostituzione è lecita ma non regolamentata e per questo il nostro è tra i numerosi paesi europei definiti abolizionisti. Ma c’è un dibattito in corso per la completa legalizzazione della prostituzione?
«Per carità, meglio che stiano tutti zitti», taglia corto Pia Covre, 73 anni, prostituta e fondatrice del Comitato per i diritti civili delle Prostitute, che nel corso degli anni ha cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana e di superare «quel macigno morale» che c’è in Italia sulla questione. La piena legalizzazione e regolamentazione della prostituzione in Italia sembra un’ipotesi da scartare, soprattutto dopo le conclusioni della Commissione Affari Costituzionali.
L’inchiesta parlamentare: quale sarà il futuro della prostituzione in Italia?
La Commissione Affari Costituzionali ha analizzato il fenomeno per giungere poi a conclusioni ancora più abolizioniste dell’attuale legge Merlin. In Italia la legge che abolisce la prostituzione risale al 1958, presidente in carica era Giovanni Gronchi. La legge non rende illegale in senso stretto la prostituzione ma le attività collaterali (induzione alla prostituzione, favoreggiamento, reclutamento e sfruttamento della prostituzione). La Commissione Affari Costituzionali ha decretato che una strada che l’Italia potrebbe percorrere per “rinnovare” la legge Merlin è quella che guarda al modello svedese: un modello che criminalizza i clienti. «Quando la Commissione Affari Sociali ha avviato un’inchiesta sulla regolamentazione della prostituzione ha invitato preti, suore e femministe contrarie», aggiunge Pia Covre. «Ho dovuto sgomitare per farmi invitare. E alla fine il loro modello era quello svedese, dove la prostituzione è legale ma il cliente è criminalizzato, una criminalizzazione che inevitabilmente colpisce anche le sex workers. Un disastro. Se questa è l’apertura, meglio non parlarne».
Il sex work è un lavoro come un altro
«Il problema è non capire che le sex workers sono lavoratrici, il lavoro sessuale va riconosciuto come un lavoro, e quindi con relative iscrizioni all’Inps, contributi, pensioni – ristori, che non abbiamo ottenuto durante la pandemia - e permesso di soggiorno per chi è straniero», continua Pia Covre. «Parliamo della messa a lavoro di una parte dei nostri talenti, delle nostre possibilità. Una persona può avere voglia di fare l’amministratore o l’economista, ha talento per questi temi e investe. Una ballerina, invece, usa corpo, gambe e sensualità e le investe nel lavoro. La sex worker ha passione per un certo modo di vivere la libertà sessuale e mette all’opera questo talento», spiega Pia Covre.
«Non c’è solo chi lo fa per talento o passione: c’è chi lo fa per mangiare, in modo magari più mediocre ma che comunque impone delle scelte. In definitiva c’è chi va in fabbrica, chi fa l’agricoltore, chi fa sesso. È chiaro che anche la passione più dirompente, come in tutti gli altri lavori, dovrà nel tempo piegarsi ai compromessi. Pensi a quante donne nello spettacolo negli anni hanno accettato il compromesso sesso-lavoro. Alcune dicono: “A questo punto conviene farmi pagare bene”. Poi ci sono anche donne che non vogliono lavorare in fabbrica e pensano che sia faticoso fare le badanti tutta la vita o le domestiche: preferiscono usare il corpo e farsi pagare per lo scambio».
Le manifestazioni delle puttane negli anni ‘70
Un aneddoto che Pia Covre racconta sorridendo riguarda una manifestazione delle puttane – così le chiama Covre - francesi che sul finire degli anni ‘70 cominciarono ad occupare alcune chiese. «A Lione un gruppetto era incavolato per la repressione della polizia e occuparono una chiesa. Noi pensammo: “Lo facciamo anche noi”, poi abbiamo capito che ci avrebbero buttato fuori subito. Nel giro di pochi giorni ci furono diverse occupazioni di chiese da parte di puttane francesi che protestavano contro lo stigma e la criminalizzazione. Mi ha colpito e incoraggiato. Anche noi avremmo dovuto occupare».
Negli anni ‘70, racconta Covre, le retate della polizia erano frequenti: «Ci facevano arrabbiare perché noi lavoravamo nei pressi di una base Nato, ad Aviano. I soldati americani in libera uscita, ubriachi, ci lanciavano le bottiglie. E i poliziotti non c’erano per proteggerci, arrivavano solo per le retate, ci facevano le foto, era una cosa orribile. Così in segno di protesta abbiamo scritto una lettera contro gli americani e la base Nato, e l’abbiamo data ai giornali. Fu un bel colpo».
I numeri della prostituzione in Italia
La legge Merlin sancì nel 1958 la chiusura delle “case chiuse”, le case di tolleranza, rimaste nell’immaginario collettivo solo grazie i b-movies. Secondo Codacons il mercato del sesso registra un fatturato annuo che sfiora i 4 miliardi di euro, con circa 90mila operatori e un numero di clienti di circa 3 milioni di cittadini. Durante la recessione il fatturato (ipotizzato) è cresciuto del 25%. Si stima che il 10% delle sex workers sia minorenne, e oltre il 50% di provenienza estera, soprattutto dai paesi dell’Europa dell’Est e dall’Africa. Il dato che stona è che, in un mercato sommerso di così ampia diffusione, le denunce per favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione siano pochissime, come raccontano i dati Istat.
«Ma qui in Italia abbiamo un grande problema di caporalato, di lavoro sommerso», sottolinea Pia Covre. «Guardiamo al lavoro sessuale come unico bacino in cui esiste lo sfruttamento e l’illegalità diffusa, in realtà esistono tanti lavoratori sfruttati. Molto dipende anche dalle nostre leggi in materia di migrazione. Se fosse garantito il diritto alla mobilità e alla migrazione la gente avrebbe meno problemi, non sarebbe una preda per i caporali o gli sfruttatori. Il lavoro sessuale può essere un buon lavoro ma devi farlo liberamente, devi scegliere come e con quali clienti. Non è una catena di montaggio, nessuno può dirti: “Devi fare solo pompini”».
La prostituzione in Europa
Sono numerosi i paesi europei in cui la prostituzione è proibita, soprattutto nell’est del continente: tra i paesi in cui è vietata ci sono Albania, Lituania, Macedonia, Montenegro, Russia e Ucraina. Un modello proibizionista “morbido” è quello della Svezia, che l’Italia ha preso come punto di riferimento nelle ultime discussioni in Commissioni Affari Sociali: dal 1999 il paese svedese criminalizza i clienti e punisce chi acquista prestazioni sessuali. Inevitabile, come ricorda Pia Covre, la ricaduta sulle sex workers. Esiste poi in Europa il modello abolizionista, quello italiano (utilizzato anche in Belgio, Danimarca, Regno Unito e Spagna). Consiste nel depenalizzare la prostituzione (punendo però, come in Italia, favoreggiamento della prostituzione, induzione, reclutamento e sfruttamento) e non regolamentarla. Sono invece solo sette i paesi in cui la prostituzione è regolamentata, ai quali potrebbe aggiungersi anche il Belgio nel prossimo futuro.
Un movimento d’opinione sulla prostituzione
Le generazioni più giovani sembrano a favore di una piena regolamentazione: al sondaggio condotto da VD sui propri canali la quasi totalità dei rispondenti si dice a favore. Segnaliamo, fra le tante, alcune opinioni giunte in redazione: «Assolutamente a favore, ci sarebbe meno sfruttamento», o «Non è differente dal muratore se regolamentata in maniera corretta». «Chi pratica sex work ha bisogno di essere tutelata», scrive Rebecca, «di stare al caldo nei mesi freddi, scegliere con chi lavorare, igiene e sicurezza». Secondo Laura la regolamentazione sarebbe «un gesto di civiltà».
I dati della prostituzione in Italia
- Fatturato annuo 4 miliardi €
- 3 milioni di clienti e 90mila operatori
- Il fatturato è cresciuto del 25%
- 50% delle/dei sex workers è straniera/o e il 10% minorenne
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