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Nell'Italia dei femminicidi, 'La scuola cattolica' è un film necessario
Quando Donatella Colasanti emerse, coperta di sangue, dal bagagliaio della FIAT 127 bianca dove i tre aguzzini del Circeo l’avevano rinchiusa credendola morta, l’Italia intera dovette misurarsi con la sua cattiva coscienza. Un’Italia cattolica, moralista, reazionaria nel cui ventre molle si annidavano le ombre oscure della misoginia fascista. “La scuola cattolica” di Stefano Mordini mostra come l’orrore del Massacro del Circeo sgretolò le certezze di quell’ambiente conservatore dal quale i tre assassini provenivano: la Roma bene dei Parioli, ricca e religiosa. Un film che ci aiuta a comprendere l’Italia di allora e quella di oggi, dove ogni tre giorni una donna è vittima di femminicidio.
'La scuola cattolica' di Stefano Mordini
La scuola cattolica del titolo è un noto istituto privato maschile di un quartiere residenziale di Roma dove, negli anni Settanta, studia Edoardo (protagonista ispirato a Edoardo Albinati, autore del libro Premio Strega da cui è tratto il film). Le famiglie della migliore borghesia romana pensano che l’ambiente repressivo e religioso della scuola possa proteggere i loro figli dai tumultuosi cambiamenti di quegli anni e prepararli a un futuro di successo che rappresenta il loro retaggio sociale. Ma nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1975 l’immagine e il racconto di Donatella Colasanti emergono dal bagagliaio della FIAT 127 in viale Pola e travolgono come uno tsunami quella fortezza di valori dietro le cui mura l’alta società romana si è arroccata, sorda al cambiamento e, per questo, incapace di cambiare. I responsabili dell’efferato Massacro del Circeo sono, infatti, ex-studenti della scuola cattolica frequentata da Edoardo, che prova a raccontare cosa ha scatenato tanta violenza in quelle menti esaltate da idee politiche distorte e un’irrefrenabile smania di supremazia.
«Quello che era successo riguardava tutti noi» dice Edoardo, voce narrante, «la nostra educazione, il nostro quartiere, la nostra scuola. Bisognava provare continuamente di essere veri uomini, per poi ricominciare da capo e dimostrarlo una volta ancora». In queste parole, che mostrano tutta la pressione patriarcale della società italiana di quegli anni, possiamo ascoltare l’eco delirante dei tre mostri del Circeo. «Lo abbiamo fatto perché era arrivato il momento di dare un segnale.» «Dovevamo far capire che eravamo ancora vivi.»
Il regista Stefano Mordini ci conduce lungo la traiettoria sempre più oscura del racconto con una regia delicata: «Trovare un modo per osservare con il necessario distacco questa storia che lentamente si trasforma in dramma e poi in un incubo che ha segnato molti dei nostri ricordi, è stata per me la vera sfida da affrontare quando ho cominciato a lavorare a questo film» commenta. «Non ho voluto spettacolarizzare quella violenza, l’obiettivo era seguire il fluire del viaggio dalla città verso il mare, con il desiderio che la storia potesse avere un finale diverso. Volevo investire emotivamente su quella speranza proponendo una lettura dei fatti che vuole ampliare il più possibile la responsabilità di quel che è successo, anche al di là di quella innegabile dei tre autori del delitto.»
Ed è in questo suo sguardo trasversale, che non si ferma ai colpevoli del Massacro ma seziona spietatamente la psicologia sociale del loro ambiente, che sta il valore del film di Mordini (e del libro di Albinati). D’altronde «Per subire il male» con tutto il suo valore cattolicamente provvidenziale, «ci dovrà pur essere qualcuno che lo commetta», spiega uno dei personaggi.
Un film necessario nell’Italia dei femminicidi
“La scuola cattolica” è quindi, soprattutto, un invito ad ampliare il proprio sguardo. La sua analisi non è, infatti, confinata a un determinato ambito temporale. Lo stesso sguardo trasversale è tanto più attuale oggi, nell’Italia dei femminicidi, dove le prime scosse date dal femminismo dei Settanta non hanno ancora trovato un assestamento culturale.
La riflessione sociale del film di Mordini trascende l’epoca del racconto e ci investe per la sua drammatica attualità. Perché “c’è uno spettro che si aggira in Italia” (parafrasando le famose parole di Marx ed Engels) ed è il patriarcalismo di cui il femminicidio è corollario inevitabile. Da gennaio, nel nostro paese, sono state uccise 83 donne di cui 50 dal proprio partner o ex-partner. Ognuno di questi crimini dovrebbe spingerci a sollevare domande sui nostri valori, come collettività, quelle stesse domande che le famiglie de “La scuola cattolica” si trovano, loro malgrado, a dover affrontare dopo la notte oscura del Circeo.
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