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In Italia, un caregiver familiare vive dieci anni meno della media
Sono milioni i caregiver familiari italiani, gli assistenti che, a titolo gratuito si occupano di un proprio congiunto non autosufficiente. Costretti dal destino a un lavoro usurante, che non prevede il riposo, vivono dai 9 ai 17 anni meno della media nazionale, stando a uno studio del premio Nobel Elizabeth Blackburn. Un dato che riflette una vita fatta di rinunce e solitudine, che si snoda tra le domande per farsi riconoscere caregiver, le promesse mai rispettate delle istituzioni e la speranza di un responso dalla politica. Che come tutta risposta ha creato il Ministero della Disabilità. Un ministero senza portafoglio che difficilmente farà la differenza.
La vita dei caregiver familiari
Cinzia è la mamma di Francesca, vent’anni, che a causa di una grave sofferenza perinatale, è affetta da un grave ritardo mentale. «Quando morirò lascerò una ragazzina che non parla e che non è capace di difendersi. Non so che fine farà. Vedo tante cose brutte che accadono nei centri per disabili e nelle Rsa. Siamo totalmente abbandonati», dice a VD. «Non si trovano risposte nella politica, siamo lasciati soli. Solo in tempo di elezioni ci cercano. Ci promettono rivoluzioni sul tema della disabilità». Il ministero? «Un carrozzone inutile. Alla testa non c’è mai un caregiver». Come molti caregiver, Cinzia ha abbandonato il lavoro per prendersi cura della figlia. «Stiamo usando tutti i nostri risparmi. Quando hai una persona disabile in casa le famiglie si impoveriscono moltissimo. Non voglio più che le persone mi dicano che se te l’ha data il Signore vuol dire che eri capace di accettarlo. Nessuno non me lo dire più questa cosa». In quanto a strutture per disabili, l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa. «Quando la famiglia è stanca si accontenta di poco, un centro vale l’altro. E i politici tante volte ci prendono per stanchezza. Come fai andare a protestare a Roma? È veramente faticoso con un figlio disabile. E nessuno manifesta al posto nostro per i diritti dei disabili o dei caregiver familiari».
Essere caregiver in Italia
Confad è il coordinamento nazionale che raccoglie sotto la sua ala le famiglie che hanno un congiunto disabile. Da tanti anni, troppi, si batte per i diritti dei caregiver. «Si tratta di persone che compiono un grande gesto di responsabilità e di amore accudendo nel proprio ambiente domestico un familiare con disabilità grave non autosufficiente», spiega a VD Alessandro Chiarini, presidente di Confad. «Non si tratta né di volontari né di colf o badanti. Si tratta di familiari che compiono una scelta a volte costretta. Spesso finiscono con l’annullarsi, senza riuscire a conciliare la vita familiare e lavorativa». La figura del caregiver è definita dalla legge nazionale 205/2017. La norma prevede anche l’istituzione di un fondo, i cui criteri e modalità di utilizzo delle risorse sono stati definiti solo il 22 gennaio 2021. «Nei Paesi del Nord Europa il caregiver viene integrato all’interno della rete assistenziale, quindi diventa dipendente e gode di uno stipendio. In Francia e in Germania sono previste tutele di natura economica. Quella dei caregiver, in Italia, è una categoria abbandonata. Alle istituzioni chiediamo l’attribuzione di contributi figurativi e di forme di prepensionamento. In secondo luogo, chiediamo un contributo economico perché il caregiver svolge un lavoro di altissimo valore sociale e di altissima entità ma non ha alcun riconoscimento. E poi dei percorsi di sollievo, creando una rete di sostegno che garantisca un minimo riposo. Sono diritti umani fondamentali».
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