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Chi era Irena Sendler che salvò 2.500 bambini ebrei dall'Olocausto
Irena Sendler è una di quelle figure che si muovono tutte affaccendate ai lati della storia, lontane dall’attenzione, e che con le loro azioni cambiano le piccole grandi storie di migliaia di indifesi; in particolare quei bambini che l’Italia si impegna, dal 1991, a difendere con la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la giornata mondiale del bambino. La memoria di Auschwitz è ancora viva, un inferno dove molti prigionieri, bambini ebrei deportati, al di sotto degli otto anni sono stati usati come cavie o schiavi. Irena Sendler, infermiera e assistente sociale polacca, salvò 2500 bambini ebrei dalla furia nazista, facendoli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia, con la complicità di una ventina di membri della resistenza.
Chi era Irena Sendler?
La sua storia, raccontata anche dal film Il coraggio di Irena Sendler, è stata riscoperta da un gruppo di studenti di una scuola superiore del Kansas solo nel 1999, nonostante già nel 1965 lo Yad Vashem di Gerusalemme l’abbia riconosciuta come una dei Giusti tra le nazioni, onorificenza riservata a i non-ebrei che durante la Seconda guerra mondiale hanno agito con coraggio per salvare anche un solo ebreo dallo sterminio nazista. Irena ha solo sette anni quando il padre, medico, la esorta a salvare chi sta “affogando”. «Se vedi qualcuno che annega, devi tuffarti per salvarlo, che tu sappia nuotare o meno», le dice. Un insegnamento che Irena farà suo, confezionando fra il 1939 e 1943, anno in cui sarà arrestata dalla Gestapo, oltre tremila documenti falsi per aiutare le famiglie ebree a fuggire dal ghetto.
Irena Sendler e i bambini ebrei deportati
Nel dicembre 1942 si unì all'organizzazione clandestina polacca Zegota occupandosi della divisione dedicata al salvataggio dei bambini. Con il permesso del Dipartimento della previdenza sociale, Irena entrò nel ghetto di Varsavia per accertarsi di un’eventuale presenza del tifo, e poi, indossando una stella di Davide per dimostrare la sua solidarietà, Irena iniziò a convincere i genitori ebrei a lasciare andare con lei i loro figli, per salvarli dai campi di sterminio. A volte Irena portava i bambini in ambulanza, nascosti sotto una barella, o in bauli, valigie oppure li faceva sgattaiolare attraverso le fognature. «L’enorme numero di bambini messi in salvo da Zegota – scrive Irena Sendler nelle sue lettere – andava catalogato e ricordato, nonostante il grande pericolo che comportava, per consentirne, a guerra finita, il ritorno alle famiglie d’origine».
Cosa successe ai bambini ebrei sopravvissuti?
Ma l’operazione non fu facile. Molti dei bambini ebrei sopravvissuti si erano ormai abituati agli istituti cattolici nei quali erano stati collocati o alle famiglie assegnatarie, che in alcuni casi non vollero restituirli, rendendo addirittura necessario l’intervento del giudice. A Irena, definita la terza madre del ghetto di Varsavia, va comunque il merito di aver strappato al genocidio nazista migliaia di vite. «Ogni bambino ebreo salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria». Con queste parole, indirizzate al parlamento polacco che voleva proclamarla eroina nazionale, Irena ha saputo racchiudere lo spirito di quella che sarà la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, dando un’ultimissima, grandiosa lezione di umanità, da ricordare per la Giornata della Memoria e il World Children’s Day.
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