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Vitka e i veri Avengers dell'Olocausto

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Il primo atto di sabotaggio ai danni dei Nazisti fu realizzato da una ragazzina ebrea polacca: Vitka Kempner. Mentre in Europa il suo popolo veniva segregato in ghetti, schiavizzato e infine sterminato nell'Olocausto, Vitka rifiutò di trasformarsi nell'ennesima vittima della follia nazifascista, imbracciò il fucile e fondò un gruppo di resistenza chiamato Avengers, i vendicatori. Quella battaglia la trasformò da indomabile guerriera a spietata vendicatrice fino a portarla a un soffio dalla più orribile atrocità. Questa è la sua storia, quella degli unici veri Avengers, per la Giornata della Memoria.

Vitka e lo sterminio degli ebrei

Vitka aveva 19 anni quando le SS, in Polonia, rinchiusero la sua famiglia e tutti gli ebrei della città in una chiesa. La giovane non poteva sopportare quell'abuso e sgattaiolò nel retro, salutò i suoi parenti sorridendo e saltò fuori dalla finestra del bagno, come avrebbe fatto una qualsiasi adolescente che vuole marinare la scuola. Non sapeva che stava dando l'ultimo addio a suo padre e sua madre: il massacro nazista li divorò quella notte stessa. La giovane fuggì a Vilnius, in Lituania, dove, poco dopo, giunsero anche le armate tedesche. Così Vitka si trovò di nuovo in un ghetto ebraico, vittima dei soprusi nazisti. Con la sua amica Ruzka si unì alla resistenza (Fareynikte Partizaner Organizatsye) guidata dal poeta Abba Kovner, di cui era innamorata, e presto i tre divennero combattenti inseparabili.

Vitka aveva un'abilità innata, quasi un superpotere: era la migliore spia e contrabbandiera mai vissuta a Vilnius. Parlava senza accento, era attenta, camminava con noncuranza tra la gente e si tingeva i capelli, in questo modo riusciva a fingersi non-ebrea e compiere le missioni più delicate per la Resistenza. Per un po' la vita di Vitka fu avventurosa, lei aveva 20 anni e, con la Resistenza, si limitava a ingannare le SS come in un gioco. Ma il gioco, a un certo punto, si trasformò in tragedia quando una donna, nuda e ferita, apparve ai margini del bosco innevato.

Ruzka, Abba e Vitka a capo degli Avengers
Ruzka, Abba e Vitka a capo degli Avengers

La shoah emerse dal bosco a piedi nudi

Una sera, dalla foresta di Ponar vicino a Vilnius, emerse una donna ferita, nuda, arrancante nell'oscurità. Una donna ebrea. Fu soccorsa e portata da Abba Kovner, leader della Resistenza, e Jacob Gen, capo del Ghetto, e dopo un lungo silenzio riuscì a parlare. Nei pressi di Vilnius c'era un campo di lavoro dove venivano mandate molte famiglie che poi non tornavano più, le SS dicevano loro che il campo era un modo per rendersi utili al regime, per trovare una via d'uscita dal ghetto: tanti ebrei si erano offerti volontari per andarci a lavorare. Ma non c'era nessun campo.

La ragazza era stata presa dalla polizia con la sua famiglia, costretta a denudarsi e a percorrere un tunnel in fondo al quale si apriva un oscuro abisso pieno di cadaveri. Una sventagliata di mitra e poi l'oscurità. La ragazza si era risvegliata poco dopo, nuda e sanguinante tra i cadaveri ed era rimasta immobile finché il gelo della notte più profonda l'aveva riscossa spingendola fuori dalla fossa comune. Dopo due giorni di cammino aveva raggiunto il ghetto. Un silenzio innaturale calò nella stanza: «Non parlerò più» mormorò la ragazza del bosco di Ponar dopo aver finito la sua storia, Abba e Jacob uscirono dalla stanza. Il capo del ghetto non credette alla giovane vittima, Abba invece si volse verso Vitka e i suoi amici e disse senza esitazione: «Dobbiamo combattere». Iniziò così la storia degli Avengers, i Vendicatori dell'Olocausto.

Gli Avengers dell
Gli Avengers dell'Olocausto

Il rischio di combattere mostri

Abba, Vitka e Ruzka iniziarono la loro battaglia "per Ponar" e assestarono così tanti colpi ai nazisti da divenire famosi in tutta Europa. Ma le atrocità che videro li trasformarono, spingendo Abba e Vitka su un sentiero sempre più oscuro che li intrappolò ben oltre la fine della guerra. Perseguitati dai sovietici e costretti in clandestinità nonostante la sconfitta dei nazisti, si sentivano senza futuro. Abba aveva scoperto quanto grave fosse stato lo sterminio degli ebrei dell'Olocausto: «Hanno ucciso sei milioni di noi, noi uccideremo sei milioni di loro» dichiarò ai restanti Vendicatori mentre pianificava di avvelenare l'acqua delle più importanti città tedesche. Fortunatamente fu arrestato prima di poter attuare il suo piano.

Vitka si infiltrò, grazie alle sue abilità, tra i prigionieri di Norimberga per avvelenare i criminali di guerra, ma un caso la costrinse a fuggire. Il destino risparmiò anche lei dal tramutarsi nel mostro che combatteva. Fu allora, alla fine di quel decennio di guerra e sangue, che Ruzka riuscì a convincere i due amici a raggiungerla in Palestina, dove Abba e Vitka decisero di rifarsi una vita e dedicarsi ai sopravvissuti. Kovner divenne un famoso poeta, Ruzka una storica, Vitka invece una psicologa e lavorò tutta la vita con le vittime dell'Olocausto. «In guerra» disse «molte cose sono accettabili. Uccidi e pensi che non ci saranno conseguenze. Invece ci sono, ma arrivano dopo».

Abba Kovner testimonia sull
Abba Kovner testimonia sull'Olocausto

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