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His House è l'horror sui migranti che dovresti vedere

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Essere bloccati in un luogo estraneo, spaventoso, dove l’oscurità è abitata da fantasmi che ti perseguitano: una casa infestata somiglia molto alla vita di un rifugiato africano in Europa. His House è la storia di Rial e Bol, richiedenti asilo sudanesi appena arrivati in Inghilterra che ricevono una casa popolare alla periferia di Londra.

La storia di His House

Rial e Bol vengono lasciati davanti alla loro nuova porta di casa. Un’abitazione sporca, povera e in rovina che la coppia non può lasciare per non essere rispedita in Sudan. Ma anche un posto solo per loro, dopo tanti pericoli e sofferenza. Eppure, in quella casa l’oscurità nasconde l’orrore dei loro ricordi, dei traumi e delle perdite che hanno vissuto e che tornano a perseguitarli. His House è un film horror che fa più che spaventarci con fantasmi e mostri: ci cala nell'alienazione di un migrante a Londra e la usa come strumento del genere. Rial gira per i vicoli della periferia e si perde in strade tutte uguali dove le appare sempre lo stesso bambino (o bambini diversi ma tutti simili ai suoi occhi). Bol brucia i loro ricordi dell’Africa, nel tentativo, vano, di esorcizzare l’orrore che li perseguita. Veste abiti europei, usa posate di metallo, ripete di continuo: «Questa è la nostra casa». Anche se è intrappolato nell’orrore di un luogo spaventoso, che lo vuole morto. Un orrore popolato di fantasmi ma che ha un’origine più spaventosa e reale. «Dopo quello che abbiamo passato» dice Rial «dopo quello che abbiamo visto e che l’uomo può fare, pensi mi spaventino dei colpi nella notte? Pensi che possa avere paura dei fantasmi?». L’acqua è l’elemento di questo terrore, quel mare che ha cercato di inghiottire entrambi e che ora torna a perseguitarli con tutte le sue vittime senza nome. His House non è il film horror a cui siamo abituati, è un film sull’orrore, quello umano e reale che si prova a essere sopravvissuti.

Perché dovresti vedere His House

Remi Weekes debutta alla regia di un lungometraggio con un’opera che piega e rivoluziona il genere. Gli stilemi dell’horror ci sono tutti, dai loop inquietanti ai jumpscares, ma calati in un contesto che conferisce loro un significato nuovo e cancella quella sensazione di cliché che ormai da anni perseguita il genere, condannandolo all’autoreferenzialità. In His House la vicenda dei personaggi non è, come ormai succede spesso, funzionale alla messa in scena di una classica e riconoscibile storia di fantasmi bensì il contrario: è la casa infestata a essere lo strumento per raccontare i personaggi. Uno sviluppo del genere che ha già prodotto le due stagioni di Haunting of (Hill House e Bly Manor), dove quello stesso elemento è usato per indagare i disturbi mentali e i problemi familiari, in un modo elegante anche se non sempre riuscito. His House compie un ulteriore passo in questa direzione. Il film di Weekes con Wunni Musaku e Sope Dirisu non è l’horror contemporaneo che esorcizza le paure archetipiche del nostro subconscio collettivo, ma un film che ci permette di vivere (e comprendere) gli orrori della realtà. His House si inserisce a pieno titolo nel solco di opere come Get Out o Us anche se, bisogna ammetterlo, senza la maestria (o i mezzi) di Jordan Peele. Ma il film riesce a calarci in quell’inquietudine, in quell’alienazione tipica delle periferia sociali che popolano le nostre città ma poco la nostra mente.

La vita all’interno di una tendopoli di migranti

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