quarantena
Il Governo decide per decreto qual è la vera famiglia
Aggiornamento: il Governo ha chiarito che con "congiunti" intende anche gli "affetti stabili".
Il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa del 26 aprile sul nuovo DPCM per la "fase 2", ha ripetuto più di una volta la parola “congiunti” in merito all’apertura del 4 maggio a incontri e funerali. Lo Stato ha deliberato una gerarchia dell’affettività, relegandola nella cortina della parentela sanguigna. Se la quarantena forzata è ed è stata una condizione indifferibile per proteggere la tenuta del nostro sistema sanitario, e di conseguenza le fasce più deboli della popolazione, il prolungamento indeterminato del “distanziamento sociale” rischia di nascondere numerose incognite.
Un governo familista
La parola “congiunti” citata nella bozza del decreto, rappresenta appieno il punto di vista delle nostre istituzioni in merito al paese. «Solo un governo così scioccamente familista (...) poteva concepire il discrimine del legame del sangue per decidere chi possiamo incontrare e chi no dopo oltre 50 giorni di isolamento» scrive con acume Samuele Cafasso su Wired. Mettendo in discussione il principio di protezione per nonni e genitori anziani e punendo con l’allontanamento forzato alcuni tipi di parentele non dirette e le amicizie. Lo Stato delibera per decreto qual è la Vera Famiglia.
La malattia uccide soprattutto gli anziani. Molti analisti hanno riscontrato nella minore frequenza dei giovani tedeschi a incontrare i propri genitori uno dei maggiori motivi per il quale la mortalità da Covid in Germania è decisamente ridotta. Insieme, chiaramente, all’alta disponibilità di terapie intensive. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha diffuso uno studio secondo il quale quasi il 25% dei contagi sarebbe avvenuto in famiglia e ben il 44% nelle strutture di accoglienza per anziani. Secondo l’OMS «la metà delle vittime del Covid-19 si trovava nelle case di cura e nelle strutture di degenza a lungo termine». Lontani dai loro affetti sono morti soli. «È una tragedia umana inimmaginabile», ha detto il direttore dell’Oms per l’Europa, Hans Kluge. Nel frattempo la Svezia tiene a casa i più vecchi e stabilisce una “quarantena morbida” per gli altri.
È giusto attendere il vaccino?
La ricerca di un vaccino va avanti ed è cominciata anche la sperimentazione umana. Nessuno però azzarda una data per il rilascio. C’è chi dice settembre. Chi un anno. Chi molto di più. Di fatto istituzioni e politica lo pongono, in alcuni casi, come una discriminante. Gli eventi, dichiarava qualche giorno fa il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro «non sono attività che possiamo immaginare finché non abbiamo un vaccino». Conte è stato ancora più lapidario. «Senza vaccino non ci sarà una soluzione».
Ma si può pensare di legare ad un evento non determinato precisamente nel tempo, la mancata ripartenza della vita dei cittadini? Possiamo utilizzare il vaccino, che non sappiamo ancora se e come funzionerà, né quando sarà disponibile, per fissare la data in cui potremo consentire attività fondanti del nostro vivere sociale? Possono il teatro, la cultura, la musica essere derubricate a “data da destinarsi”?
La penultima verità di Dick
Nel suo romanzo fantascientifico La penultima verità, Philip K. Dick immagina delle città sotterranee dall’aspetto di giganteschi formicai abitate da umani, rifugiatisi nel sottosuolo dopo lo scoppio di una guerra nucleare che ha reso invivibile la superficie della Terra. Solo pochi appartenenti alla classe dirigente possono vedere la luce del sole, avendo il privilegio di abitare in aree al sicuro dalle radiazioni. «Il rischio è che il distanziamento si trasformi, di fatto, in una maggiore differenza tra le classi, esasperando le condizioni economiche e congelando la mobilità sociale» avverte la scrittrice e pubblicitaria Carmen Balestrieri. Una società spezzata, con famiglie e classi che non comunicano e vivono in mondi distanti, come in Parasite.
Nel frattempo anche i movimenti di protesta, vivi e combattivi all’inizio dell’anno, si sono dissolti nel privato delle case degli attivisti. «I gas lacrimogeni non soffocano più i grattacieli di Hong Kong, mentre le tende dei manifestanti nel centro di Beirut sono state smantellate. A Delhi, la strana forcella di plastica e la coperta a brandelli sono tutto ciò che resta del sit-in che una volta limitava una delle autostrade più trafficate della città» scrive il New York Times. Milioni di manifestanti, o potenziali tali sono rinchiusi nelle loro case, costretti a badare alle necessità personali, come proteggere la propria famiglia dal contagio, guadagnare il minimo per vivere ed acquistare guanti e mascherine. Ma il bilancio economico della pandemia e l’impossibilità di vivere la socialità più basilare potrebbero spingere molti a violare le misure. In parte sta già accadendo. In Brasile, in Francia, negli Stati Uniti. Uno stress, collettivo e individuale, che potrebbe diventare esplosivo, molto prima di quanto si immagini, causando conseguenze disastrose nel mantenimento dell’ordine pubblico e dell’assetto istituzionale ed economico dei paesi.
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