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L'atleta che ha sfidato Erdogan

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Merih Demiral, calciatore turco acquistato dalla Juventus in estate, il 10 ottobre pubblica un post di sostegno all’attacco del suo governo contro i curdi della Siria nord-orientale. «La missione della Turchia è quella di prevenire la creazione di un corridoio del terrore» scrive il difensore, che trova subito la solidarietà dei compagni di Nazionale, come Cengiz Under, giocatore della Roma, che nel febbraio 2017 aveva esultato ad un gol al Benevento con il saluto militare. Saluto che viene riproposto prima su Twitter, poi da tutti i calciatori della Nazionale nelle sfide ad Albania e Francia l’11 ed il 14 di questo mese. Eppure, l’allineamento quasi totale dei calciatori turchi al presidente Recep Tayyip Erdoğan non rappresenta che una delle molteplici facce di questa insolita medaglia. Un’altra ancora, infatti, racconta la storia di Enes Kanter, che ha preferito far prevalere le proprie convinzioni su un confortevole silenzio.

Il basket e i curdi

Kanter è un cestista apolide, come si può tranquillamente leggere dalla sua pagina Wikipedia. Gioca nella NBA, guadagna 17,5 milioni di dollari a stagione, ma non ha più una patria. E nemmeno una famiglia, costretta a rinnegarlo prima e ostracizzata poi: il padre è stato condannato a 15 anni di prigione, i fratelli non trovano lavoro per il cognome che portano, nessuno di loro ha più un passaporto.

Enes Kanter è un campione dell
Enes Kanter è un campione dell'NBA che si definisce apolide

Tutto è partito il 17 luglio 2016, dopo il fallito golpe militare nella terra di Bisanzio, quando Kanter ha apertamente attaccato Erdogan sui social. Da allora, è stata una scalata che lo ha portato ad essere uno dei nemici pubblici più temuti dal governo turco: l’Hitler del XXI secolo, come ha definito il premier lo stesso giocatore, non gli lascia più tregua. Prima attacca la famiglia, poi i suoi fan – un dentista viene arrestato perché ha la sua foto sulla scrivania – senza però perdere di vista gli spostamenti di Kanter.

Il tentato rapimento di Kanter

Nella passata stagione, il giocatore salta due trasferte con la sua ex squadra, i New York Knicks: rinuncia a volare verso Londra, ma non azzarda nemmeno ad avvicinarsi al Canada, dove giocano i Toronto Raptors, memore di quanto accadutogli nel 2017 all’aeroporto di Bucarest.

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Di ritorno dall’Indonesia, Kanter resta bloccato per ore in Romania, complice la revoca del suo passaporto: «Tentato rapimento», così ne parla raccontando l’accaduto. Ora, guardando alle pressioni che ha subito e che continua a subire (a Boston, dove gioca attualmente, non hanno mancato di urlargli “traditore” non meno di qualche settimana fa), viene da chiedersi se ne valga davvero la pena.

Il coraggio di chi dice no

La storia di Kanter descrive il coraggio sia una virtù eroica, ma non alla portata di tutti: quanti degli sportivi turchi che hanno parteggiato per Erdogan, sarebbero disposti a perdere tutto come Kanter? Perché schierarsi contro il sultano vuol dire entrare in clandestinità, vuol dire perdere la famiglia, prima ancora della fama.

Recep Tayyip Erdogan sta portando la Turchia verso una politica autoritaria e aggressiva
Recep Tayyip Erdogan sta portando la Turchia verso una politica autoritaria e aggressiva

Quindi, può sorgere il dubbio che non serva per forza condividere l’ideologia del proprio governo, per aderirci pubblicamente. Ci possono essere pressioni esterne che ti spingono a farlo. E il coraggio di chi dissente, non può obbligarci a giudicare negativamente chi non ce l’ha. Kanter non è la normalità, è l’eccezione, e questa cosa va compresa, per non falsare il nostro metro di giudizio.

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Prima di Kanter, c’è stato Carlos Humberto Caszely, calciatore cileno che rifiutò di stringere la mano ad Augusto Pinochet prima di partire per il Mondiale del ‘74. Questo gesto costò la reclusione e la tortura di Olga Garrido, la madre di Caszely. Insomma, ci vuole fegato, e non si può pretendere da tutti. Dall’impegno di Kanter, però, passa una lezione che andrebbe appresa, prima ancora che copiata. Una lezione che viene raccontata direttamente dalle sue parole, che riguarda la Turchia, ma che dovrebbe essere una massima sovranazionale: «Le cose buone non ti vengono mai regalate, non sono mai semplici da conquistare. Il mio problema non è con il mio Paese. Il mio problema è con il regime nel mio Paese. […] Erdogan sta usando il suo potere per abusare e violare i diritti umani. Il mio obiettivo è essere la voce per tutte quelle persone innocenti che non ne hanno una».

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