cyberbullismo
Il cyberbullismo uccide. La storia di Hana Kimura
Hana Kimura aveva solo 22 anni ma era già una wrestler professionista, forte e ambiziosa. Eppure non è bastato, perché quando l'odio online ti travolge con quella violenza, ogni minuto di ogni giorno, nessuno può resistere e Hana Kimura, finita nel ciclone dell'opinione pubblica, si è tolta la vita. Anche in Italia i suicidi per cyberbullismo sono una realtà, legata spesso al revenge porn, come nel caso di Carolina Picchio, 13 anni, e Tiziana Cantone, 33 anni, e le shitstorm dell’indignazione popolare colpiscono duro: l’ultima risale alla scorsa settimana ed è stata così potente da restare in tendenza su Twitter per giorni.
Hana Kimura e i problemi di Terrace House
Hana aveva partecipato a uno dei rari reality giapponesi, Terrace House, ora sospeso. Il programma vedeva i soliti ragazzi celebrity wannabe entrare in un appartamento di Tokyo e convivere sotto l’occhio vigile del pubblico e dei commentatori famosi. Questi ultimi partecipavano alla trasmissione dando le loro opinioni sulle dinamiche della casa da una posizione esterna, influenzando attivamente il pubblico. Hana è finita nell’occhio del ciclone dell’opinione pubblica per un episodio che in Italia, forse, avrebbe avuto poca risonanza ma che in Giappone, dove il ruolo della donna e, in generale, la vita privata sono il prodotto di un retaggio culturale diverso, ha fatto scalpore.
La giovane si è infuriata quando uno dei suoi coinquilini ha, involontariamente, lavato e rovinato il suo costume da wrestler professionista, pezzo unico fatto su misura per lei. Le escandescenze di Hana e l’aver strappato il cappello del coinquilino, l’hanno resa oggetto di un biasimo generalizzato, iniziato da alcuni commentatori durante la trasmissione e poi fatto proprio dal pubblico, sui social. Molti elementi hanno trasformato il caso di Hana Kimura in una tragedia: gli stereotipi nipponici sulla donna, il rapporto contraddittorio tra voyeurismo da reality e vita privata in Giappone, la xenofobia (Hana era in parte indonesiana) e il problema del cyberbullismo che il paese del Sol Levante stenta ad affrontare con risolutezza. Il risultato è stato una tempesta di odio che ha travolto Hana da marzo, nell'isolamento del coronavirus, e l'ha spinta a togliersi la vita il 23 maggio.
Perché il cyberbullismo porta al suicidio?
Hana Kimura è stata solo l’ultima vittima di un fenomeno globale (ricordate il caso della cantante coreana Sulli?) che riguarda anche l’Italia. I numeri del cyberbullismo nel nostro paese sono in crescita e si legano a doppio filo alla nuova società digitale. Il fenomeno tocca soprattutto giovani e giovanissimi, l’85% dei quali è costantemente connesso alla rete attraverso lo smartphone ed è più esposto a dinamiche tossiche online: dal sexting non richiesto al revenge porn, fino al cyberbullismo. Secondo la psicologa clinica Maura Manca, presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, «le vittime delle violenze digitali sono molto più a rischio di suicidio rispetto alle vittime di bullismo fisico e verbale e a tutti gli altri adolescenti. Le femmine sono più a rischio dei maschi perché spesso vengono violate nella loro intimità, ad esempio con l’invio di video intimi e sessuali».
Una delle indagini portate avanti dalla dott. Manca si è concentrata su 7.000 studenti: il cyberbullismo, per quanto meno diffuso del bullismo (6,5% contro il 20%), si è rivelato più pericoloso, con l’11% di tentativi di suicidio invece del 7%. «Il cyberbullismo è vissuto come molto più invasivo rispetto al bullismo tradizionale, è meno diffuso ma è molto più grave perché viola l’intimità e la privacy della vittima». L’odio online, tra gli adolescenti, colpisce soprattutto le ragazze tra i 14 e i 17 anni che vivono nelle grandi città del Nord Italia, come dimostrano i dati Istat.
L’odio online può colpire tutti
Il cyberbullismo non è l’unica manifestazione deviata di una rete in cui l’hate speech è sempre in agguato, per non dire ricorrente. L’ultima gogna online, in Italia, risale alla settimana scorsa e ha visto protagonista Marco Crepaldi, laureato in psicologia sociale e fondatore di Hikikomori Italia, che da tempo era nel mirino di alcune frange di attivisti per le sue posizioni sulle problematiche maschili, espresse nel proprio canale YouTube. A volte condivisibili, altre volte criticabili, le opinioni di Crepaldi si sono sempre mosse nell’alveo del dibattito civile e aperto, cosa che non gli ha evitato la shitstorm dopo il suo invito a non portare la discussione sul caso George Floyd nel campo del sessismo. Infelice o meno che fosse il suo invito, l’attacco che ha subìto è stato talmente intenso da portare l’hashtag col suo nome, e quello di chi lo difendeva, in tendenza su Twitter. Crepaldi ha quindi deciso di sospendere ogni tipo di contributo sul tema dei problemi maschili, probabilmente per sempre.
Ma l’odio online è un problema che non tocca solo personaggi pubblici e riguarda, come il cyberbullismo, in particolare le donne (un terzo in più rispetto agli uomini): il 14% dei commenti online analizzati da Amnesty International, offende, discrimina o minaccia. Beatrice Inguì aveva 15 anni quando si è gettata sotto un treno a Torino, nel suo caso è stato il fatshaming a spingerla nel mirino dell’odio online, persino dopo il suicidio, con numerosi commenti che non riportiamo ma che coinvolgono tutti il termine “grasso”. L’hate speech e il cyberbullismo si intersecano con numerosi problemi e sono, oggi, la perfetta cartina tornasole di tutte le carenze culturali del nostro paese, che dà in pasto ai propri istinti peggiori i suoi membri più vulnerabili.
Dove chiedere aiuto
- Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112.
- Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 199 284 284 oppure via Internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
- Puoi anche chiamare i Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.
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