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Nella gara alle supertecnologie l’Europa vuole tornare a correre
Se anche Apple si trova costretta a fare i conti con la carenza dei microchip, nonostante il suo enorme potere d’acquisto e gli accordi a lungo termine con i fornitori, allora è chiaro che non abbiamo più a che fare con una semplice mancanza di componenti ma con una vera e propria crisi. «I chip sono tutto», ha detto al Guardian Neil Campling, analista tecnologico. «Qui c'è una tempesta perfetta di fattori legati a domanda e offerta.Tutti sono in crisi». Dalle auto, agli elettrodomestici, agli smartphone, passando per le console per videogiochi: oggi l’intera filiera di approvvigionamento di microchip è messa in discussione. E la colpa non è solo della pandemia ma anche dell’accentramento del mercato nelle mani di poche aziende. Tanto che l'UE ha annunciato una legge per aumentare la produzione interna dei semiconduttori già a inizio Febbraio.
La filiera dei microchip
Produrre un chip è un processo macchinoso: quando il progetto di un microchip arriva in fabbrica, la lavorazione richiede dai tre ai cinque mesi, a seconda della complessità. I substrati di silicio su cui vengono costruiti i chip sono sottoposti in media a 500 operazioni realizzate con tecniche sofisticate, tanto che alcuni di questi processi chimici e fisici richiedono anche 20 ore. Ma la lavorazione non si esaurisce qui: i substrati partono poi per un secondo tipo di impianto, che di solito si trova in Paesi con un minore costo del lavoro, dove ogni chip viene inscatolato. Alla fine il chip viene spedito all’impianto del cliente. Questo tipo di distribuzione impone ritmi stringenti: l’industria dei microchip lavora infatti sette giorni su sette, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno. Aumentare quindi la produzione per rispondere a una domanda sempre crescente è, al momento, impensabile.
La crisi dei microchip
La carenza dei microchip è iniziata lo scorso anno: con la pandemia, è rallentata la catena di approvvigionamento ed è diventato difficile radunare tutte le materie prime per poi produrre il prodotto finito. Al tempo stesso, è aumentata la domanda di microchip in tutto il mondo, in linea con l’aumento esponenziale della richiesta di device, costituiti da microprocessori. Ma a risentire maggiormente della crisi è stato il settore automobilistico, che dipende dai microchip sia per il funzionamento dell’impianto frenante che per il sistema di posizionamento Gps. La conseguenza più evidente è stato il forte calo dell’immatricolazione delle auto italiane a settembre, che ha segnato un -32,7%, dopo il -27,3% registrato ad agosto e il -28,1% di luglio.
A questo si aggiungono i lunghi tempi di attesa e l’aumento dei prezzi, due fattori che si ripercuotono sul consumatore finale. Oltre alla pandemia, però, la crisi dei microchip è stata innescata dalla gestione monopolistica del mercato di produzione. Per fare un esempio, il gruppo TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Co.) copre praticamente la metà del mercato totale dei materiali per semiconduttori (che vale quasi 60 miliardi di dollari). Tanto che a inizio anno il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva proposto un finanziamento di 37 miliardi di dollari per potenziare la produzione di chip negli Stati Uniti e aggirare, così, il problema legato all’esternalizzazione delle attività di produzione di microchip. «Non c'è alcun segno di recupero dell'offerta o di una diminuzione della domanda: i prezzi stanno aumentando lungo tutta la catena», afferma Campling.
«Questo si ripercuoterà sulle persone per strada». Insomma, «le auto e i telefoni arriveranno a costare di più»: l'iPhone di quest'anno non sarà di certo più economico rispetto all’anno passato.
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