coronavirus
Coronavirus: la sanità italiana è sulle spalle delle donne
Le abbiamo viste spiegare l’epidemia in tv e sul web, lavorare in laboratorio fino a isolare il virus, combattere allarmismo e lassismo, soccorrere i malati e assisterli negli ospedali d'Italia: sono le donne del servizio sanitario nazionale, la maggioranza, non più silenziosa, che sorregge la salute del Belpaese ma la cui carriera, da sempre, è tenuta a freno per far spazio ai colleghi maschi.
Ilaria Capua e la prima linea contro il coronavirus
I volti di donna che ci hanno rassicurato, spiegato e "cazziato" negli ultimi due mesi costituiscono la prima linea dell'Italia contro il coronavirus. Abbiamo iniziato il 2 febbraio, 48 ore dopo il primo caso nazionale, con le professioniste dell'Istituto Spallanzani: la ricercatrice Francesca Colavita, che ha isolato il virus (precaria a 1.300 euro al mese e poi assunta), la direttrice del laboratorio Maria Rosaria Capobianchi, e le dott.sse Eleonora Lalle e Concetta Castilletti. Ma non è finita qui, perché poco dopo la dott.ssa Ilaria Capua, virologa, ha deciso di informarci costantemente su sintomi e contromisure, con il giusto mezzo tra i toni forti di un Burioni e quelli, più rilassati, di una Gismondo.
La dott.ssa Capua ha fatto un grande lavoro, spendendo il suo tempo e la sua immagine non solo nella tv generalista ma anche sui migliori canali YouTube, dimostrando una grande attenzione per le nuove generazioni, spesso dimenticate e lasciate in balìa degli eventi dalle istituzioni italiane. La sua ultima dichiarazione, proprio di queste ore, fa luce sulle similitudini tra il coronavirus e una famosa malattia endemica: il morbillo. «Il mondo è attraversato da uno sciame virale, la storia si ripete. Diventato pandemico in pochi mesi, il coronavirus riserverà qualche sopresa e alcuni ceppi virali potrebbero, in futuro, causare forme enteriche nei neonati e nei giovani».
Ilaria Capua e Francesca Colavita non sono le uniche a combattere in prima linea contro il virus, informando gli italiani: la dott.ssa Barbara Balanzoni, già nota per le sue azioni in Kosovo e per la sua lunga polemica con gli infermieri, ha pubblicato un video su Facebook divenuto virale, in cui, come dice lei, "cazzia" gli italiani perché non rispettano le regole e non comprendono la reale portata dall'epidemia. «Dovete restare a casa. Le scuole sono chiuse fino al 15 marzo. Fatevi una domanda. Italiano medio, fatti una domanda. C’è troppa gente in giro. Ve lo dico in maniera chiara: non ci sono i posti nelle rianimazioni, non ci sono abbastanza respiratori, noi anestesisti non ci siamo. Vuol dire che i posti in rianimazione sono un numero, i pazienti che ne avranno bisogno sono e saranno di più. Se continuate così, il numero dei polmoniti che ha bisogno di rianimazione aumenta e noi non sappiamo dove metterli. È chiaro? La situazione è difficile».
Le centomila combattenti nelle retrovie
Ma se Ilaria Capua, Francesca Colavita e Barbara Balanzoni sono la prima e più visibile linea di donne impegnate contro il coronavirus, dietro di loro (un passo indietro, direbbe qualcuno) ci sono le oltre 130.000 impiegate del sistema sanitario nazionale, più del 50% di tutti i lavoratori under 65 (il 60% degli under 40). E parliamo solo delle dottoresse, ma se comprendiamo anche le infermiere, le receptionist, le segretarie di studio medico, circa il 70% dei lavoratori della sanità in tutto il mondo è donna. Sono loro che prendono i nostri nomi all'ingresso, archiviano le nostre cartelle, ci aggiustano le flebo, tarano i respiratori, misurano le temperature, ci visitano, decidono le terapie e fanno le diagnosi. Ma oltre non possono andare: solo il 2% di loro farà carriera raggiungendo un ruolo dirigenziale (pagato, nella media mondiale, il 26% in meno rispetto ai colleghi maschi a causa del gender gap).
Il quadro generale è così platealmente ingiusto che l'OMS ha descritto il sistema sanitario mondiale come: "Gestito da donne ma comandato da uomini" (“Delivered by Women, Led by Men”) e dichiarato che: «i sistemi sanitari non possono essere forti basandosi sul fragile e iniquo fondamento del lavoro non retribuito di donne e ragazze. Riconoscere e pagare le donne in modo equo per tutto il lavoro svolto nell’ambito dell’assistenza sanitaria e sociale porterà a sistemi sanitari più forti per tutti noi». Ma nonostante questa disparità, le donne del sistema sanitario nazionale sono ora al lavoro nelle zone di quarantena, nei pronto soccorso e negli ospedali trasformati dal Covid-2019, con turni impossibili e tutte le difficoltà e i rischi dell'emergenza, fianco a fianco coi loro colleghi uomini. Ma pagate meno e senza le stesse possibilità di carriera.
Segui Videodrome su Instagram.