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Come è nato il tricolore?
La nostra identità nazionale, per quant’altro se ne possa dire oggigiorno, ha indubbiamente nel tricolore il suo vero baluardo distintivo. E la storia del tricolore ripercorre in parte non solo le tappe che hanno portato all’Unità d’Italia, ma anche e soprattutto lo stato d’animo del tempo. Insomma, il tricolore ci rappresenta più di quanto non si dica.
Quando nasce il tricolore?
La bandiera a strisce verticali verdi, bianche e rosse che tutti conosciamo, viene adottata ufficialmente dalla Repubblica Cispadana il 7 gennaio del 1797. La Rivoluzione francese è iniziata da quasi un decennio, un decennio che ne ha spazzato via una buona parte dei protagonisti, ma non i loro ideali. Così, nell’Italia teatro di conquista di Napoleone Bonaparte, si è risvegliato il senso della nazione, di un'unione in contrasto con la frammentazione medievale.
George Mosse sottolinea nel suo libro La nazionalizzazione delle masse: senza una strutturata idea condivisa, si possono fare tutte le bandiere del mondo, ma non una nazione. E noi, quanto i tedeschi di cui racconta lo storico, abbiamo appreso questa lezione proprio grazie a Napoleone. Se per la Germania l’imperatore corso è stato un invasore contro cui unirsi, per l’Italia lo stesso Napoleone ha avuto la funzione opposta: grazie all’esperienza della Repubblica Cispadana – e Cisalpina con l’annessione dal ’97 della Lombardia, infatti, si sono piantati i semi del Risorgimento.
Perché proprio il tricolore?
Con il rosso e il bianco colori storici del vessillo di Milano e il verde delle casacche della guardia civica meneghina, la Legione italiana al soldo dei francesi si trova per la prima volta stretta attorno ad un unico stemma. Impensabile, fino al secolo precedente. Eppure, come abbiamo detto, il Risorgimento è ancora lontano, prima l'Italia dovrà passare attraverso le forche caudine della Restaurazione.
Come suggerisce il nome, con il Congresso di Vienna del 1815, i potenti d’Europa hanno deciso di fare un passo indietro reazionario rispetto alle novità della Rivoluzione. Una scelta che si è rivelata essere un tampone, almeno per il seguente trentennio: gli austriaci riprendono i loro possedimenti sulla penisola, i francesi si ritirano ed il Regno di Sardegna, con i Savoia in capo, diventa il nuovo epicentro dell’italianità.
Il tricolore ai nostri giorni
L’azzurro dell’emblema dei Savoia, però, non riesce a soppiantare il tricolore, ormai a tutti gli effetti bandiera di chi si azzarda a immaginare l’Italia. Il 1848 è stato un anno di ferventi rivolte, l’anno delle costituzioni, dello Statuto Albertino, ma è anche l’anno del tricolore. Da Milano a Venezia, da Roma a Palermo, la questione italiana non sembra più essere un capriccio delle regioni del nord. Nello stesso anno, Carlo Alberto annuncia la prima stoccata agli austriaci, e invita gli italiani ad adottare il tricolore negli stendardi, sugli scudi. Nel 1861, tre Guerre di Indipendenza dopo, la bandiera italiana sventola finalmente nel cielo.
Bisogna aspettare il 1925, prima che venga codificata in quella attuale, ma questa è una formalità che, sempre richiamando a Mosse, gli Stati fanno per coltivare nella popolazione il sentimento nazionale. Così, nel mondo variopinto delle interpretazioni che sono state fatte del tricolore dopo l’Unità, l’Italia ha scoperto il senso di appartenenza. Si potrebbero aprire tante parentesi sulla questione nazionale. Si potrebbe citare Antonio Gramsci, sostenere pure la sua tesi per cui il Risorgimento non abbia funzionato appieno, sospinto più dagli interessi sabaudi che da quelli dell’intera Penisola. L’adozione spontanea del tricolore, però, segna un passaggio fondamentale, che per quante ragioni abbiano le tesi gramsciane, in parte smentisce: l’Italia non è nata solo per il capriccio dei suoi sovrani.
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