cinema
Il cinema decadente di Michael Haneke
Una famiglia medio-borghese, a bordo di una station wagon con tanto di barchetta a rimorchio, viaggia blandamente in autostrada per raggiungere la casa in riva al lago in cui trascorrerà le vacanze estive. Vengono inquadrati i volti sorridenti e rilassati dei tre, quasi a comporre un perfetto quadro di famiglia. Dopo pochi secondi, il Care selve di Antonio Gigli dello stereo viene brutalmente squarciato dal jazz a tinte grindcore dei Naked City e, sulle note di Bonehead, si susseguono titoli di testa rossi come il sangue. Non si tratta dello spot pubblicitario di un energy drink, ma delle sequenze inziali di Funny Games, il film più celebre di Michael Haneke.
Il cinema di Haneke
Sì, perché il cinema di Haneke è questo, prendere o lasciare: è una gita al lago pronta a trasformarsi in un massacro, è violenza allo stato puro che si manifesta in maniera improvvisa e inesorabile, è espressione del tramonto di uno stile di vita borghese che, attraverso la cinepresa, viene restituito come l’apogeo di tutti i mali. Quella narrata da Haneke è una borghesia tutt’altro che illuminata: è inautentica, inetta e cannibalizzata dai suoi stessi stereotipi di classe, riflesso di una società votata all’egoismo e all’infelicità e accecata dal consumo.
In un’intervista, Haneke ha descritto con una semplice frase, lucida e glaciale quasi quanto i suoi lavori, il cuore del proprio modo di fare cinema: «una sorta di consapevole omissione del lato bello della vita». Alla base della poetica di Haneke vi è l’idea del Teatro della crudeltà, immaginato e promosso da Antonin Artaud agli inizi degli anni Trenta, volto a scuotere lo spettatore con ogni mezzo al fine di ottenerne la partecipazione incondizionata. La “crudeltà”, per Artaud, sta proprio nell'inchiodare lo spettatore davanti ad una realtà oggettiva, nel negargli qualsiasi possibilità di evasione, costringendolo a interagire con quello che ha davanti.
Haneke e il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud
L’esordio cinematografico di Haneke arriva al compimento dei quarantasette anni, nel 1989, quando debutta sul grande schermo con il suo primo lungometraggio, tuttora inedito in Italia, Der siebent kontinent (Il settimo continente), primo capitolo della cosiddetta “Trilogia della glaciazione”.
Pur trattandosi di un debutto, Il settimo continente può essere considerato la summa della sua opera, poiché presenta elementi paradigmatici del suo cinema, come la scelta dei nomi (personaggi chiamati Georg e Anna torneranno anche in Funny Games, Storie - Racconto incompleto di diversi viaggi, Il tempo dei lupi, Niente da nascondere e Amour), la regia fredda e asettica, la tragedia interna al focolare domestico, la discesa negli inferi di personaggi colti e realizzati professionalmente ma, al contempo, emotivamente instabili e incapaci di comunicare le proprie debolezze.
Scoprire Haneke con Il settimo continente
Il film mette in scena gli ultimi tre anni di vita dei coniugi Georg e Anna Schober e della loro figlioletta Eva. Intrappolata in una routine automatizzata, tesa unicamente alla reiterazione delle abitudini quotidiane, la famiglia Schober si trova a dover affrontare una vera e propria corsa a tappe verso la morte, nella forma di un suicidio premeditato, resa ancora più spaventosa da una regia chirurgica e da un rigore formale asfissiante.
Der siebent kontinent rivela al pubblico uno dei marchi di fabbrica del regista austriaco: per far tremare lo spettatore, non gli è necessaria neppure una goccia di sangue. Poco prima di suicidarsi, Ann, Georg e Eva danno avvio ad una distruzione metodica della propria abitazione, radendo al suolo la casa e i propri averi: la boccia dei pesci rossi viene scaraventata al suolo, i risparmi di una vita finiscono nello scarico del water, le foto di famiglia vengono squarciate, i mobili fatti a pezzi: l’apologia di uno stile di vita borghese che, inevitabilmente, ha come esito ultimo l’autodistruzione. Epifania del nichilismo più struggente e insostenibile, Il settimo continente picchia duro e fa malissimo: un capolavoro da riscoprire, che merita assolutamente un adattamento in italiano e che riassume magistralmente la filosofia del suo autore: Michael Haneke ci racconta, con fredda e lucida ferocia, il declino e l'autodistruzione della classe media occidentale.
La filmografia di Michael Haneke
- Il settimo continente (Der siebente Kontinent) (1989)
- Benny's Video (1992)
- 71 frammenti di una cronologia del caso (71 Fragmente einer Chronologie des Zufalls) (1994)
- Das Schloss - film TV (1997)
- Funny Games (1997)
- Storie (Code Inconnu: Recit Incomplet De Divers Voyages) (2000)
- La pianista (La pianiste/Die Klavierspielerin) (2001)
- Il tempo dei lupi (Le temps du loup/Wolfzeit) (2003)
- Niente da nascondere (Caché) (2005)
- Funny Games (2007)
- Il nastro bianco (Das weiße Band) (2009)
- Amour (2012)
- Happy End (2017)
Segui VD su Instagram.