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«Sono un calciatore e sono gay». La storia di Rosario Coco
Essere gay nel mondo del calcio è peggio di un rigore sbagliato. Poco importa se i mondiali di calcio femminili hanno dimostrato che quello che conta è l’atleta. L’omosessualità è un fuorigioco che in pochi segnalano per paura di ritorsioni dentro e fuori lo spogliatoio. Il messaggio è chiaro: il calcio ‘vero’ è il gioco degli uomini dalle mogli bellissime e dai conti in banca a sei zeri. Non sembra esserci spazio per calciatori omosessuali. Ma in campo qualcosa comincia a cambiare.
Orgoglio LGBT: la storia di Rosario Coco
Rosario Coco, classe 1985, ha 28 anni quando decide di fare il suo primo coming out con i compagni di squadra. È il 2014 e Rosario milita in terza categoria della Roma Ostia Antica. È appena uscito dalla doccia ed è in accappatoio, quando nello spogliatoio prende piede un dibattito sull’omosessualità: «un mio compagno di squadra era finito al centro di una discussione perché aveva rapporti sessuali con le trans» racconta a VD. «Un altro ragazzo lo stava prendendo in giro, ma lui, sottolineando di essere attivo, sperava di dimostrare di non aver intaccato la sua virilità». A Rosario viene chiesto che cosa ne pensa della faccenda. Fa un respiro profondo e risponde che, in fondo, sono fatti che devono riguardare il diretto interessato. Nello spogliatoio cala il silenzio. «Con quella frase avevo confessato di essere omosessuale». Seguono mesi di frecciatine dentro e fuori lo spogliatoio. Fino alla prima tregua.
Il secondo coming out
Poi arriva la nuova stagione, i nuovi giocatori e il secondo coming out di Rosario. «Un paio di amici mi stavano chiedendo con insistenza di accompagnarli al Gay Village e un nuovo acquisto della squadra mi domanda senza troppi giri di parole se sono interessato al sesso maschile». Nello spogliatoio cala nuovamente il silenzio. «Io rispondo di sì, ma con una sicurezza tale da spiazzarlo. Ormai avevo maturato lentamente che il mio essere finto sul campo mi impediva di esprimere le mie potenzialità e questo mi generava tanta infelicità e una profonda non consapevolezza».
Infine approda all’atletico San Lorenzo, polisportiva basata sui valori dell’antifascismo e dell’antisessismo. «Ѐ stato un coming out più sereno. Hanno semplicemente visto il mio profilo Facebook e mi hanno chiesto se fossi gay. La reazione è stata di incredibile curiosità. Avevano capito che accettavo lo scherzo e siamo riusciti a creare un contatto profondo. Si è creata una dinamica per cui lo scherzo è diventato positivo».
I Lupi Roma Outsport
Oltre che calciatore, Rosario è anche attivista. Nel 2019 ha fondato insieme ad altri ragazzi la squadra gay-friendly “Lupi Roma Outsport”, frutto di un processo che affonda le sue radici nel 2013. «Lupi Roma Outsport è una realtà che declina lo sport in chiave sociale ed educativa, sulla base dei risultati che il progetto europeo Outsport, promosso da AICS, ha prodotto con la prima ricerca su omotransfobia e sport in Europa, con un gruppo che lavora sull’inclusività degli ambienti sportivi e sulla valorizzazione individuale. Perché non esiste un calcio etero. Esiste il calcio mainstream o generalista.»
«Ma i calciatori, come ogni altro soggetto sociale, non possono sfuggire alle statistiche, che contano dal 5% al 10% di persone gay in ogni categoria». Impossibile, quindi, che in serie A non ci siano giocatori omosessuali, dove è necessario non solo fare professione di eterosessualità ma anche di omofobia, altrimenti non si gioca. «I “Lupi Roma Outsport” nascono in risposta a questi due dogmi che fanno sentire in dovere di millantare conquiste sessuali. Si tratta di una realtà inclusiva, in cui molti eterosessuali giocano perché si sentono più a loro agio a non dover esibire costantemente la propria mascolinità. Siamo riusciti a creare qualcosa di veramente all’avanguardia».
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