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Quel calcio di Boban che scatenò la guerra in Jugoslavia

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Il 13 maggio del 1990 Zvonimir Boban, capitano della Dinamo Zagabria, sta per dare inizio a una guerra. È una calda domenica primaverile, e presso lo stadio Maksmir dovrebbe andare in scena la partita di calcio più importante della stagione. La posta in palio sul rettangolo verde è altissima: non si tratta soltanto della riproposizione di un “classico” tra due rivali storiche (Dinamo e Stella Rossa), ma anche dell’anticamera al dispiegamento della violenza politica tra gruppi etnici, che smembrerà definitivamente la cartina della Jugoslavia sognata da Tito.

La situazione politica della Jugoslavia nel 1990

La Jugoslavia di fine anni Ottanta è un serbatoio di tensioni rivoluzionarie pronte ad esplodere da un momento all’altro. L’utopia di Tito, sintetizzata dal motto «La Jugoslavia è formata da sei repubbliche, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti e un partito», è ormai una fotografia sbiadita. Nel rimasuglio di quella che avrebbe dovuto essere un’unica, grande nazione, convivono gruppi etnici eterogenei con forti intenti di secessione:


  • Croati
  • Serbi
  • Sloveni
  • Montenegrini
La cartina della Jugoslavia
La cartina della Jugoslavia

Con la morte del “maresciallo”, l’unico uomo in grado di mantenere lo status quo, la sensazione dominante in questo mosaico di nazionalità e identità è che la guerra possa esplodere da un momento all’altro. Una settimana prima della partita, il 6 maggio, l’Unione Democratica Croata (HDZ) di Franjo Tuđman, partito di estrema destra ha vinto le elezioni, mettendo in discussione la supremazia della Serbia di Milosevic all’interno della confederazione.

Il nazionalismo di Zvonimir Boban

Tra i Bad Blue Boys (nome ispirato a un film del 1983 con Sean Penn), gli ultras della Dinamo, e i Delijie (eroi), quelli della Stella Rossa, tra le cui fila milita Željko Ražnatović, futuro organizzatore delle milizie della Guardia volontaria serba, le Tigri di Arkan, non corre buon sangue. La loro è una contrapposizione totale, che non coinvolge soltanto due fedi calcistiche, ma anche due popoli (croato e serbo), due religioni (cattolica e ortodossa) e due obiettivi politici differenti (l’indipendenza croata e l’egemonia confederale serba).

Il calciatore Zvonimir Boban poi passato al Milan
Il calciatore Zvonimir Boban poi passato al Milan

Zvonimir Boban è il capitano più giovane della storia della Dinamo Zagabria, uno dei centrocampisti più forti in circolazione e un convinto sostenitore della causa dell’indipendentismo croato. Non è solito esporre le proprie posizioni politiche, ma il suo orientamento è facilmente intuibile da una sua frase pronunciata durante un’intervista ed entrata nella storia: «Per la maglia della Jugoslavia ho sempre dato il massimo, ma per quella della Croazia potrei morire».

Quel calcio che scatenò la guerra in Jugoslavia

Il 13 maggio, la tensione fuori dal Maksmir è altissima: i disordini sono iniziati alle prime luci dell’alba, i feriti sono centinaia. Sugli spalti accade di tutto: le due tifoserie si fronteggiano a colpi di molotov, e in pochi minuti la situazione degenera drammaticamente. I tifosi della Stella Rossa, però, godono di un vantaggio strategico di non poco conto: gli agenti di polizia presenti allo stadio sono, per la maggior parte, serbi, e chiudono volentieri un occhio nei confronti della loro veemenza.

Zvonimir Boban tirò un calcio a un agente
Zvonimir Boban tirò un calcio a un agente

I Bad Blue Boys, al contrario, sono oggetto di particolare attenzione: vengono caricati sistematicamente, storditi dai gas lacrimogeni e flagellati dai colpi di manganello. Preso atto della disparità di trattamento, i supporters della Dinamo invadono il campo e interrompono la partita, fronteggiando le forze di polizia armati di sassi e cocci di bottiglia. Segnato nell’animo dalle vessazioni subite dai propri connazionali, Boban perde la pazienza e decide di entrare nel conflitto in prima persona, sferrando un calcione contro un poliziotto che sta malmenando brutalmente un tifoso di casa. In poche ore, la foto fa il giro del mondo, e Boban diventa il simbolo di una stagione di guerre civili e pulizia etnica nei Balcani.

La guerra in Jugoslavia è stata l
La guerra in Jugoslavia è stata l'ultima combattuta in Europa

Tuttavia, si tratta di un gesto che, per la sua particolare natura, va contestualizzato: nessuno, sul finire degli anni Ottanta, voleva essere Jugoslavo; ogni gruppo etnico rivendicava la propria identità e considerava l’indipendenza un valore supremo. Per questo motvo non esiste una Jugoslavia oggi. Vent’anni dopo, il fuoriclasse ex-Milan dichiarerà: «Quel calcio è stata una reazione normale, che avrebbe avuto qualsiasi essere umano in nome della libertà».

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