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Coronavirus: i 4 errori dell'Italia secondo Harvard

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L'Italia è stata la prima nazione occidentale a essere colpita dal coronavirus e, in generale, il parere della popolazione è che il Belpaese abbia affrontato la pandemia in maniera esemplare. Il direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha espresso la stessa opinione: «l'Italia è stata un esempio scintillante. Con unità nazionale e solidarietà, impegno comune e umiltà anche la situazione peggiore si può invertire». Ma per l'articolo di Harvard pubblicato sull'Harvard Business Review dai professori Gary P. PisanoRaffella Sadun e dal manager Michele Zanini, invece saremmo un esempio di quello che non si deve fare quando si affronta un'epidemia. Lo stesso parere espresso poco tempo fa sul New York Times da Horowitz, Bubola e Povoledo, a cui potremmo obiettare che i tempi della crisi sono stati impietosi per l'Italia, e che il resto dell'Occidente non se l'è cavata poi meglio. Osservazione contenuta persino nell'articolo di Harvard, che però individua anche 4 errori oggettivi legati al sistema-paese italiano che hanno favorito il disastro e che vale la pena di analizzare.

1. Il pregiudizio di conferma ha rallentato la risposta

Il pregiudizio di conferma, o confirmation bias, è quel meccanismo che ci porta a cercare e riconoscere come valide solo prove che confermino le nostre convinzioni e a escludere tutto ciò che le mette in crisi. È uno dei problemi più diffusi in Italia e ha influito molto sulla gestione del virus anche in tempi non sospetti: come dimenticare l'aperitivo di Zingaretti a Milano (il segretario del PD è poi risultato positivo al coronavirus dieci giorni dopo) o la campagna #MilanoNonSiFerma di Giuseppe Sala.

Il Presidente Conte firma il decreto sul coronavirus
Il Presidente Conte firma il decreto sul coronavirus

Come abbiamo già accennato, va tenuto conto della novità del fenomeno coronavirus in Italia i primi di Febbraio, ma qui parliamo della fine del mese. Poi lo studio fa un'importante affermazione, che probabilmente riguarda, indirettamente, tutto il fallimento sistemico dell'Italia in questo frangente: una politica sempre, organicamente, debole. Contro un'epidemia è necessario agire presto e con decisione ma «se l’intervento funziona davvero, sembrerà a posteriori che le azioni forti fossero una reazione eccessiva. Questo è un gioco che molti politici non vogliono giocare». Cosa che ci porta al punto seguente.

2. I provvedimenti graduali hanno peggiorato la situazione

I provvedimenti graduali adottati da Regioni e Governo (per decreto) hanno portato alla quarantena solo gradualmente e mai in maniera completa. Questo approccio ha fallito nel suo obiettivo di arginare il coronavirus per due motivi: da una parte non ha tenuto conto della velocità di diffusione della malattia e ha finito per seguirla generando, anzi, come rilevato dagli esperti cinesi di Liang Zongan, focolai nascosti con famiglie chiuse in casa dopo essere state esposte; dall'altra ha scatenato il panico senza contenerlo, spingendo molti a fuggire dalle zone di quarantena verso il Sud Italia (cosa, peraltro, già successa anche a Wuhan, dove 350.000 cittadini sono fluiti nelle campagne all'annuncio del lockdown infettando l'intera Hubei).

3. La frammentazione della sanità italiana

La riforma del Titolo V che ha affidato alle Regioni non solo la fiscalità ma anche la gestione della Sanità, richiesta di origine leghista attuata in epoca berlusconiana, è da tempo al centro di molte critiche che, in questa crisi, si sono rivelate fondate. La Lombardia si è mossa dopo e peggio rispetto al Veneto, che ha avuto invece un atteggiamento più proattivo nel contenimento dell'epidemia e nel fornire agli operatori i mezzi e le conoscenze necessarie.

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L'emergenza coronavirus

I tagli alla sanità, dovuti alle politiche nazionali ma anche regionali, hanno reso questo mosaico ancora più problematico, trasformando gli stessi ospedali in potenziali focolai del coronavirus. Tutta questa frammentazione si è riflessa anche su un altro aspetto fondamentale nel contrasto della pandemia: la raccolta dati.

4. Una raccolta dati imprecisa

Al principio dell'epidemia i dati erano pochi e poco condivisi: il virus era nuovo e la Cina ha inizialmente ostacolato la diffusione di notizie in merito (tutti ricordiamo la tragica vicenda del dottor Li Wenliang). In Italia, però, il coronavirus si è manifestato più tardi, rispetto ad esempio alla Corea del Sud, ma la raccolta dati e il tracciamento dell'epidemia sono stati prima insufficienti e poi imprecisi.

Il confronto fra dati reali e previsioni del Governo - Fonte: YouTrend
Il confronto fra dati reali e previsioni del Governo - Fonte: YouTrend

Enrico Bucci, professore di Biologia alla Temple University di Philadelphia, ha spiegato: «I sistemi sanitari regionali, per quanto riguarda anche la trasmissione e l’analisi dei dati, non erano preparati ad affrontare un'emergenza di queste dimensioni; ci sono situazioni molto diverse a seconda delle aree geografiche del Paese, l’epidemia in Italia è a macchia di leopardo». Esattamente come la gestione della crisi sanitaria.

Cosa imparare dai problemi dell'Italia?

L'articolo dell'Harvard Business Review si conclude con un consiglio alle altre nazioni: agire subito, evitando i propri confirmation bias, ascoltando i dati e gli esperti e adottando «un approccio sistemico» non diverso da quello bellico «che dia la priorità all’apprendimento» e che sia «in grado di ridimensionare rapidamente gli esperimenti di successo e identificare e chiudere quelli inefficaci». E l'Italia? Deve iniziare a pianificare sul medio e lungo periodo, selezionare i tecnici in maniera trasparente e rendere note le loro conclusioni.

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