VD Logo
VD Search   VD Menu

musica

Come è sopravvissuta la club culture italiana?

Condividi su Facebook Condividi su Twitter Condividi su WhatsApp

Una passeggiata tra grandi scheletri di cemento abbandonati nelle periferie italiane come resti di un’epoca dimenticata: è solo questa l'eredità tangibile della club culture, una cultura che, tra alti e bassi, tanta ostilità e molti fraintendimenti, ha percorso le generazioni italiane dagli anni ’70 a oggi? Un movimento che, se ha scalfito solo superficialmente la corazza di un paese resistente al cambiamento, ha anche spinto nelle sue vene un flusso di creatività e anticonformismo che ha finito per incidere profondamente sulla sua evoluzione. Dopo un decennio di crisi e tre anni davvero duri, forse è il momento di domandarsi: la club culture è sopravvissuta? E se sì, come?

La club culture italiana

Liberazione sessuale, fluidità di genere, abbattimento delle barriere di classe, sperimentazione artistica: non parliamo delle conquiste di una rivoluzione politica, ma di elementi che la club culture ha contribuito a sdoganare nella società italiana. Una rivoluzione sociale oltre che musicale che non sorprende. Il legame stretto tra musica, concerti e spinte rivoluzionarie è un patrimonio del Novecento, secolo indissolubilmente legato all’emersione dei “giovani” come soggetto (socio-politico-economico) della storia. La club culture non fa eccezione. E, come molte altre rivoluzioni artistiche e sociali, anche quella del clubbing ha subito, in Italia, l’ostracismo delle istituzioni e la diffidenza dei media e dell’opinione pubblica. D’altronde, siamo il paese che ha coniato l’infelice espressione “malamovida”.

Ma, nonostante tutti gli ostacoli (in particolare burocratici e, quindi, tipicamente nazionali) e l’ostilità facilona di una parte dei media tradizionali, la club culture è riuscita a imporsi e a trasformare anche il nostro paese. Da una parte, e questo sin dagli anni ’70-’80, rompendo le barriere di classe di un paese dove l’ascensore sociale si muove con grandi difficoltà, dall’altra, costruendo uno spazio per interazioni e aggregazioni sociali nuove: da quelle della comunità LGBT+ ai diversi collettivi artistici.

Essere un clubber è stato a lungo sinonimo di adesione a un mondo “underground” nel senso più ampio del termine: quello di uno stile di vita alternativo, da condurre in uno spazio artistico, il club (e non solo), dai confini fluidi, ma saldamente ancorato a valori come l’emancipazione, il progresso, la libertà, l’abbattimento dei tabù e la tolleranza. Un ambiente che si è esteso anche al movimento rave, che proprio in Italia ha avuto uno dei suoi epicentri. Non è un caso che la sociologa Sarah Thorton, che ha definito la club culture come «l’espressione colloquiale con cui si indicano le culture giovanili, il cui cardine della vita sociale è rappresentato dai locali notturni», sia anche l’autrice proprio di Dai club ai rave. Musica, media e capitale sottoculturale (1998).

La club culture è riuscita, in un paese complesso come il nostro e non senza le naturali storture, ad applicare questi valori anche alla sua proposta artistica: avanguardista, dal punto di vista espressivo e tecnologico (due aspetti da sempre connessi in questo movimento). Poi è arrivata la crisi.

La crisi dei club ma non della club culture

Nel 2015 circa la metà dei club inglesi aveva ormai chiuso. In Italia la situazione era simile, come testimonia il film-documentario del 2021 Disco Ruin di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto. Secondo Riccardo Ramello, ideatore e gestore di ClubFuturo che monitora i fenomeni legati alla club culture e alla musica elettronica sia in Italia che all’estero, anche se non esistono dati accurati (fatto, in sé, già molto esplicativo, ndr) «in diverse città - Torino, Milano, Bologna - il numero dei club stava scendendo vertiginosamente». Perché? «Cambiamenti relativi alle capienze, le norme di sicurezza. Ma anche l’insostenibilità economica. Ci sono poi le dinamiche di “panico morale”: cittadini che protestano contro i locali rumorosi». E alla crisi del settore si sono aggiunti i due anni più duri della sua storia: il 2020 e il 2021.

Insomma, la club culture si è trovata davanti alla sua prova più difficile: evolversi o sparire. È riuscita a superarla? La risposta di questo ambiente si è dimostrata in buona parte all’altezza della sfida. L’approccio ai nuovi media (vedi alla voce Boiler Room), l’apertura al dialogo tra diverse realtà e iniziative virtuose come il Manifesto 2021 uscito su Soundwall, hanno traghettato il settore oltre la tempesta.

Insomma, la club culture e il mondo che vi orbita attorno sono ancora vivi, vivaci e, lasciatecelo dire, necessari in Italia. Tanto che, proprio oggi, nel 2022, una delle principali realtà della club culture nostrana compie venti anni. Un festival che ha contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo dell’effervescente scena italiana e internazionale, grazie anche a un ambiente particolarmente favorevole: la Torino a cavallo del secolo. Stiamo parlando, naturalmente, del Club to Club.

Vent’anni di Club to Club

Il Club to Club e Torino sono due realtà indivisibili. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, la città sabauda era un centro particolarmente favorevole alla clublife, un terreno fertile che favorì la nascita di una realtà come l’Associazione Culturale Situazione Xplosiva (Xplosiva), che nel 2002 ha fondato il Club to Club Festival.

Nel corso dei vent’anni seguenti, il C2C Festival è stato un’avanguardia globale per la musica, presentando sui suoi palchi alcune delle evoluzioni artistiche più audaci, valorizzando i protagonisti della propria line up, costruendo con loro un rapporto di entusiasmo e fiducia che hanno permesso a questa realtà di affermarsi a livello nazionale e internazionale, proponendosi anche all’estero (a Istanbul ad esempio).

Una visione artistica, quella avant-pop (un po’ più avant che pop) del festival, che si è sapientemente legata ad artisti che la sanno rappresentare a pieno, uno tra i molti Arca, che si esibirà giovedì 3 novembre.

Dopo l’edizione del 2019, con oltre 30mila partecipanti da 45 nazioni, e l’edizione C0C del 2020-2021 che ha segnato un nuovo punto di partenza, il Club to Club di quest’anno riparte in grande. E per sancire questo nuovo inizio, rinnova il proprio simbolo: una figura alata che rappresenta l’urgenza di rimettere al centro il futuro dei corpi, la loro libertà, la necessità di aggregazione.

C20C Festival durerà quattro giorni, dal 3 al 6 novembre, si esibiranno artisti come, appunto, Arca, Autechre, Jamie xx, Kode9, Nu Genea e molti altri. Sarà un buona occasione per sentirsi di nuovo parte di quel mondo culturale del clubbing di cui mai, come oggi, abbiamo bisogno per tornare a ballare, ascoltare, vedere e vivere.

VD è media partner per i vent’anni del Club to Club Festival che si terrà a Torino dal 3 al 6 novembre 2022.

Segui VD su Instagram.

Topicsmusica  arte  giovani  clubbing 
ARTICOLI E VIDEO