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Perché la 'Guerra al Terrorismo' non ha funzionato. E non funzionerà mai

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Oggi, dopo vent’anni dall’11 settembre, ci troviamo, di nuovo, a contare i morti e i feriti dell’ennesimo attacco terrorista, questa volta all’Aeroporto di Kabul. Vent’anni da quando George W. Bush, parlando a un’America ferita e a un mondo che osservava attonito, dichiarava la “guerra al terrore”. Un momento chiave della storia contemporanea: gli americani avevano deciso di rispondere a un attacco terroristico non con un’azione di polizia (come sarebbe stato “grammaticalmente corretto”, secondo Dario Fabbri su Limes del 2019) ma bellica. L’America dichiarò guerra a una tattica, non a un nemico, e questa contraddizione ebbe conseguenze notevoli, per loro e per il mondo intero.

La Guerra al Terrorismo è stata un fallimento

Questa guerra a una tattica, quindi, aveva bisogno di un nemico. Per alcune settimane (e pochi lo sanno), gli strateghi americani pensarono di attaccare l’Arabia Saudita. 15 su 19 attentatori, infatti, avevano passaporto saudita come lo stesso Osama Bin Laden. Ma invadere il territorio delle città sacre, La Mecca e Medina, non avrebbe solo avuto terribili conseguenze sull’approvvigionamento di petrolio dell’Occidente, ma avrebbe riunito e sollevato tutto il mondo musulmano, sunnita e sciita, contro l’America. Quindi l’Afghanistan dei talebani. Una nazione isolata politicamente ma ricca di risorse, che ospitava Al Qaida e si rifiutava di consegnare Bin Laden ai "poliziotti del mondo".

Orchestrando il rovesciamento dei talebani e poi, con la scusa delle armi di distruzione di massa, invadendo anche l’Iraq, gli USA caddero nella trappola dei terroristi. Al Qaida, infatti, aveva attaccato l’America per spingerla a rispondere militarmente in Medio Oriente e «svelare l’ambiguità delle nazioni islamiche che sostenevano gli Stati Uniti». Il terrorismo islamista era impegnato in un conflitto di potere con i grandi stati islamici per il controllo delle coscienze dell’immenso mondo musulmano. La guerra al terrore e le invasioni in Afghanistan e Iraq diedero, così, ai terroristi il nemico che cercavano, infondendo nuova vita all’islamismo. Un’ideologia che, da allora, ha conseguito notevoli successi.

La nascita dell’Isis nella sua forma statale è stata, infatti, una diretta conseguenza dell'aggressione americana all’Iraq, e così anche gli attacchi dei “lupi solitari” in Europa. Ancora l’anno scorso, più della metà degli arresti legati al terrorismo in UE ha riguardato terroristi islamisti. Nonostante la sconfitta rapidissima, i talebani sono riusciti a riprendersi l’Afghanistan e oggi sono un referente più forte che mai e molto meno isolato di vent’anni fa. Per non parlare del Khorasan, regione da dove una nuova testa dell’Isis (l’Isis-K) è riuscita ad attaccare l’aeroporto di Kabul.

È un problema semantico e strategico

Il problema della guerra al terrorismo è prima di tutto semantico. Come hanno rilevato Francis Fukuyama e, in Italia, Dario Fabbri, lo stesso termine è “finzione”. «Letteralmente è fare guerra a una tattica perché il terrorismo non è altro che una tattica» ha commentato Fabbri per i 18 anni dall’11 settembre. «Non è nemmeno un’ideologia in quanto tale, tantomeno uno stato o un soggetto geopolitico». Eppure non esisteva, all'epoca, nemico migliore per l’iperpotenza americana: «Il terrorismo non poteva distruggere gli USA nemmeno in millenni ma era utile perché serviva ad aumentare il budget delle forze armate e a dare loro una direzione dopo la fine della Guerra Fredda». Gerarchie militari che poi, pur di mantenere questa guerra al terrore, sono arrivate a mentire al proprio governo, come scoperto dal Washington Post.

La guerra al terrore è anche un problema strategico. Se ci eravamo raccontati che conflitti come la Seconda Guerra Mondiale erano “guerre per mettere fine a tutte le guerre” (frase già di per sé contraddittoria), quella al terrorismo non può che essere una guerra infinita. Non essendoci un nemico identificabile, non esiste neanche una risoluzione finale del conflitto. Così, quando Al Qaida è stata sconfitta, ci siamo trovati a combattere l’Isis, il califfato in Iraq e i lupi solitari in Europa, e oggi l’Isis-K, gruppo islamista presente nel Khorasan già da alcuni anni. E se una guerra non può essere vinta è per sua natura una sconfitta.

Inoltre, questa guerra infinita non ha fatto altro che nutrire il terrorismo, come ha rilevato Robert Pape: «Dal 1980 al 2003 ci sono stati 343 attacchi suicidi nel mondo e solo il 10% di essi era anti-Americano. Dal 2004 al 2010, più di 2.000, il 91% di essi contro USA e forze alleate in Afghanistan, Iraq e nelle altre nazioni». D’altronde lo stesso Tiziano Terzani, rispondendo alla foga guerrafondaia di Oriana Fallaci nei giorni seguenti all’11 settembre, aveva previsto il fallimento della “guerra al terrore”. «La salvezza non è nella tua rabbia accalorata, né nella calcolata campagna militare chiamata, tanto per rendercela più accettabile, ‘Libertà duratura’. O tu pensi davvero che la violenza sia il miglior modo per sconfiggere la violenza? Da che mondo è mondo non c’è stata ancora la guerra che ha messo fine a tutte le guerre. Non lo sarà nemmeno questa».

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