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Greta Thunberg attacca il Recovery Fund. Al clima solo briciole
L’ultima volta che Greta Thunberg aveva fatto parlare di sé era stato per l’orribile adesivo dell’azienda petrolifera X-Site a balzare agli onori della cronaca e noi avevamo riflettuto sul motivo per il quale attacchiamo sempre il corpo delle donne. Poi è arrivata la pandemia che ci ha distratto ma ci ha anche mostrato un mondo diverso, più pulito, senza le nostre attività inquinanti. Poi siamo tornati alla normalità, sulle macerie di un sistema economico che aveva bisogno di nuovi fondi e di un’azione concertata, in Europa, per ripartire. E tornare alla normalità significava anche tornare a ignorare gli allarmi degli scienziati e della loro portavoce generazionale Greta Thunberg su inquinamento e crisi climatica.
Le critiche di Greta Thunberg al Recovery Fund
Greta Thunberg e altri portavoce del movimento Fridays For Future hanno criticato lo storico accordo che porterà il bilancio dell’UE nei prossimi anni a sfiorare i 2.000 miliardi € (750 di Next Generaion EU e 1.074 di bilancio europeo). «Stanno ancora ignorando il fatto che affrontiamo un’emergenza climatica e ancora la crisi climatica non è stata trattata né definita come una vera crisi» ha dichiarato Greta Thunberg. In effetti l’uso del termine cambiamento climatico invece di crisi climatica rivela una inconsapevole minimizzazione del problema, come ci ha spiegato il fisico del clima Antonello Pasini. Dello stesso avviso sia Luisa Neubeuer, figura centrale dei Fridays For Future tedeschi che la belga Adélaïde Charlier: «È preoccupante, a livello democratico, chiedere qualcosa di fondamentale come la sicurezza del nostro futuro e vedere leader che la ignorano». Greta Thunberg e altre 80.000 persone, tra cui alcuni importanti scienziati, hanno firmato una lettera aperta che ha raggiunto i leader europei prima del summit. Nell’accordo raggiunto ieri sembra che sia stato dato spazio per le richieste del movimento green europeo, ma non quanto Greta Thunberg e gli altri firmatari della lettera speravano.
Gli ambientalisti hanno ragione?
In parte si. Mentre in Italia vivevamo lo scontro tra Rutte e Conte-Macron solo sul campo del Recovery Fund, la vera battaglia si combatteva da un’altra parte: sui contributi che i “paesi frugali” dovevano pagare all’Europa. In cambio dell’accordo siglato sul Next Generation EU, l’Europa ha dovuto rinunciare a una consistente parte di contributi e quindi stralciare numerosi progetti di integrazione tra cui il Just transition fund per la decarbonizzazione, che passa da 37,5 a 10 miliardi, e Horizon 2020 per la ricerca scientifica. «I tagli sono stati decisi per dare sconti ai Paesi più ricchi che lucrano facendo pagare meno tasse che altrove» come, ad esempio, l’Olanda «Ne è uscito un pacchetto non rivolto al futuro» ha commentato Alexandra Geese, una degli eurodeputati verdi che hanno trionfato alle ultime europee. Comunque l’accordo raggiunto dall’UE ha tenuto conto del Green New Deal varato proprio da Ursula Van Der Layen, destinando il 33% delle risorse alle politiche ambientali e ponendo la transizione verde tra le condizioni di accesso al Recovery Fund. Ma con una crisi climatica sempre più presente, in un quadro di finanziamenti di centinaia di miliardi, questi provvedimenti sembrano briciole date per accontentare i più giovani e tingere di verde opaco un’economia europea ancora ben radicata nelle logiche del passato.
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